Sine Die, l’Aglianico di Severino Garofano


Nella Puglia dove tutti corrono e strillano Severino Garofano ha conservato il suo lento incedere tipicamente irpino perché ogni cosa, l’Aglianico per esempio, ha il suo tempo e dunque la fretta o la velocità diventano controproducenti. Lui arrivò nel Salento da Atripalda negli anni ’60 quando, dopo aver studiato alla scuola enologica di Avellino, emigrò al Sud per trovare lavoro. Al Sud? Sì, là dove si faceva tanta uva nelle cantine sociali e c’era bisogno di tecnici capaci, la vera agricoltura si è sempre fatta dove c’è il sole. Così va, dunque, la vita, poiché a volte il percorso per arrivare all’Aglianico per un irpino può anche passare attraverso il negroamaro, la malvasia nera, il gaglioppo, il cabernet sauvignon, eccetera, eccetera. Graticciaia, Notarpanaro, Patriglione, Gravello, Cappello del Prete, Duca San Felice, sono solo alcuni dei quaranta marchi portati al successo da Severino, lampi nel buio delle masse portate nei silos delle navi per il Nord e la Francia, ché questo era il vino meridionale nell’immaginario collettivo del consumatore medio e degli stessi ristoratori. Noi lo abbiamo ritrovato non sull’onda dei suoi successi ma in una promessa contenuta in un bicchiere di Aglianico, otto anni l’attesa di questo incontro rinviato Sine Die perché ogni cosa, ogni persona, ha il suo giorno più importante ben segnato, non si può avvicinare o allontanare. L’azienda è di famiglia, ci lavorano il figlio Stefano impegnato tra le botti sulle sue orme e la figlia Renata nella gestione: Masseria Monaci è a Copertino, in una antica struttura sociale che, come tante, è diventata archeologia rurale di un passato in cui le cose funzionavano a ritmo militare, poi il banco è saltato con il calo dei consumi. Severino l’ha rilevata nel 1995 e, sine die, ha iniziato a riqualificare la vigna e i fabbricati, qui nascono un Negroamaro da collezione come Le Braci, uno da battaglia, Eloquenzia, e il Nero di Troia Sine Pari, entrambi questi a prezzi da affare messo a punto il baricentro fra costo, tipicità, piacevolezza. Poi, a parte, il Sine Die Aglianico del Vulture 1999, bella annata dopo la popputa 1998 e le esuberanti 2000 e 2001 che l’hanno seguita: fresco, minerale, equilibrato, elegante, lungo, strutturato, abbastanza morbido, un rosso in piena forma a otto anni dalla vendemmia, davvero interessante, emerso con nitidezza in una serata di grandi campioni organizzata a Lecce da Francesco Muci, fiduciario della condotta Slow Food Neretum alla quale hanno partecipato le migliori aziende impegnate con l’Aglianico in Campania, Basilicata, Molise e Puglia. Già, perché a pensarci bene, per stappare una bottiglia di Aglianico c’è sempre tempo, si può rinviare la decisione Sine Die. Lui resta tranquillo, dieci, quindici, anche vent’anni e più se rispettato.