Terra d’Eclano, l’Aglianico di Moio


Visitare la cantina di un enologo è come andare a casa di un architetto: gli rubi l’anima, ti impossessi delle sue manie e dei suoi colpi di genio perché non c’è nulla di meglio per un creativo che esprimersi in solitudine, senza cioé confrontarsi sull’aspetto pratico con gli altri. Meglio ancora bere il suo vino. Conosciamo così l’aglianico di Luigi, Laura e Michelino in ripetuti assaggi pensando a come la vita si diverta a fare scherzi: il padre Michele Moio ha legato indissolubilmente il Falerno al primitivo nella piana di Mondragone, lui ha portato in cielo il più grande vitigno del Sud, uno dei primi in Italia. Lo incrociamo per caso al Vinitaly 2005, lo ritroviamo quando visitiamo la sua cantina in estate ancora incompleta, espressione materiale dell’idealtipo bordolese che avevamo ritrovato da Caggiano, a Villa Raiano e nel Vulture da Gerardo Giuratrabochetti. Quella cantina perfetta fissata sin da giovane studente disvelata dal progetto conservato con ansia per tanti anni, dove anche le mattonelle indicano la strada dei rossi e quella dei bianchi, il vigneto circonda la casa a due passi dall’Appia costruita da Ottaviano per i mercanti di spezie e i generali ambiziosi. Terra d’Eclano si è affacciato con autorità all’ultima edizione del Vinitaly, quella che per Angelo Gaja è stata la più bella degli ultimi trent’anni e che per il presidente dell’ente camerale Gaetano Cola ha registrato la consacrazione definitiva della viticoltura campana. In effetti è così, i supercampani sono vini veri, di territorio, tipici, sempre a buon prezzo, soprattutto sono tanti, un numero impensabile sino a qualche anno fa: buyers e giornalisti stranieri non credevano alle loro orecchie quando i produttori snocciolavano i prezzi. Come comprare cristalli a Praga subito dopo l’implosione del Patto di Varsavia. Il rosso di Luigi, Laura e Michelino che scorazza biondo tra i vigneti di aglianico curati come un giardino, è una delle massime espressioni mai raggiunte dall’aglianico, il tempo gioca a favore delle viti e del vino ancora giovani, quindi esuberanti, ma già adesso sale in cattedra autorevole. Come tutti i grandi Aglianici è al tempo stesso compiuto, da bere assoluto in meditazione, oppure da abbinare ai piatti di agnello pensati dai fratelli Fischetti all’Oasis di Vallesaccarda o da Lina Martone al Megaron di Paternopoli. Il colore, rosso rubino intenso con una trama impenetrabile, annuncia intensità e persistenza sia al naso che in bocca, la frutta appare ben equilibrata con il legno, la freschezza con l’alcol mentre i tannini sono brillantemente risolti. Un vino di difficile approccio ma buono, proprio come il carattere di Luigi, il professore dell’Aglianico.