Trimani ed il Franciacorta di Berlucchi


Franciacorta Berlucchi cuvée Cellarius special edition JRE

di Gianmarco Nulli Gennari

I fautori delle bollicine d’oltralpe storceranno la bocca (e il naso). Gli ultras dei vini artigianali alzeranno le spalle. Ma è indubitabile che quando si parla di Guido Berlucchi, si richiedono rispetto e attenzione. Perché qui è stata fatta la storia del Franciacorta, terroir letteralmente venuto al mondo del vino nel lontano 1961 proprio con le prime bottiglie del “Pinot di Franciacorta”. Create, è il caso di dirlo, dal giovane enologo Franco Ziliani assieme a Berlucchi e a Giorgio Lanciani. Una storia che cinquant’anni dopo è sigillata simbolicamente dal rientro completo nella denominazione della storica cantina.

Dire Guido Berlucchi oggi equivale a circa cinque milioni di bottiglie prodotte, con un parco ettari di proprietà di 80 ettari, dai quali provengono le uve utilizzate nelle cuvèe di punta (le altre linee produttive si avvalgono dei conferitori, per un totale di circa 650 ettari). Quindi una degustazione di Berlucchi è un test di prim’ordine per avere un quadro attendibile sullo stato dell’arte del metodo classico in Italia.

Non ci siamo lasciati ripetere due volte, quindi, l’invito di Cristiana Lauro e Paolo Trimani presso l’omonima enoteca per una mattinata in compagnia di Arturo Ziliani e di diverse annate delle migliori selezioni di Franciacorta Docg. Ecco le nostre osservazioni.

Cellarius Rosé 2008. Frutto di un blend di Chardonnay (60%) e Pinot Nero (40%), che sostano almeno 30 mesi sui lieviti. Presenta al naso leggere note fruttate (fragola, lampone), lieviti (più di pasticceria che di forno); la bollicina è cremosa, al gusto emerge la sapidità del pinot, esaltata dal basso dosaggio (7 grammi zucchero/litro). Buona persistenza, evidente vocazione gastronomica. 86

Cellarius Pas Dosé 2008. Chardonnay (80%) e Pinot Nero (20%). Almeno 42 mesi sui lieviti. Olfatto all’inizio caratterizzato da una netta nota minerale, poi escono i fiori, infine emerge un bel dialogo tra note fruttate (pesca, albicocca) e la crosta di pane (con sfumature birrose); perentorio in bocca, acido e fresco, molto elegante, mentre il finale è per ora più semplice e leggermente sopraffatto dall’alcol. 84

Palazzo Lana Satèn 2006. La linea Palazzo Lana è frutto del solo fiore del mosto. Chardonnay in purezza (la tipologia prevede il solo uso di uve bianche, e l’azienda non utilizza Pinot Bianco), minimo 48 mesi sui lieviti. Note floreali e fruttate (pesca) al naso, poi erbe aromatiche, bignè; ingresso al palato estremamente morbido, quasi aristocratico, grande sapidità, bella chiusura segnata a lungo da una scia agrumata (mandarino). 88

Palazzo Lana Satèn 2004. Nel bicchiere i profumi più insoliti dell’intera sessione: a prevalere è la mineralità, con sensazioni iodate, poi la macchia mediterranea e una lieve traccia di riduzione, più avanti tornano i più rassicuranti aromi di pane appena fatto. In bocca torna l’impressione di un frutto molto evoluto, con note quasi liquorose. Forse bottiglia non perfettamente a posto. N.G.

Palazzo Lana Extreme Ris. 2006. Blanc de noirs (Pinot Nero in purezza), minimo 60 mesi sui lieviti. La particolarità di questa selezione è che il dosaggio viene deciso vendemmia per vendemmia (nel 2006 3 grammi). Olfatto monopolizzato all’inizio da una traccia di erbe aromatiche e dai toni balsamici della menta, poi entra in scena la frutta (susina, piccole bacche rosse e nere). L’ingresso al palato è di grande fascino ed eleganza, con bollicina perfettamente proporzionata, bella scia minerale. In persistenza, invece, appare ancora un po’ inespresso, come chiuso in un bozzolo, segnato da un frutto ancora un po’ acerbo. Il vetro gli farà bene. 86

Palazzo Lana Extreme Ris. 2005. Ad oggi, il mio preferito dell’intera degustazione. Questa annata è pas dosè. Al naso lievi analogie con la roccia spaccata, poi si inseguono note di pasticceria secca e di frutta giustamente matura (mela e pera). La bollicina è finissima, quasi da satèn, le sensazioni tattili sono vibranti, grazie a una grande materia prima, il frutto è bilanciato da una scia sapida affilatissima e fresca. Finale lungo con ritorni netti di lime. 90

Palazzo Lana Extreme Ris. 2004. Qui il dosaggio c’è ed è il più alto della mini-verticale (6 grammi/litro). All’olfatto è meno espansivo dei suoi “fratellini”, tracce di lieviti e di salvia. In bocca è molto ricco, il più “in carne” dei tre, dolce e succoso. Da una parte sembra il più equilibrato e piacevole del mazzo, ma in chiusura dà quasi la sensazione di non avere ancora espresso appieno le sue potenzialità. 88

A chiudere la sessione, Arturo Ziliani ha proposto una vera rarità dall’archivio storico aziendale: un brut 2001, uscito nel 2004 come “Cuvèe Storica”, etichetta che oggi non viene più prodotta. Al naso è un trionfo di frutta (un intero cesto: susine, pesche, albicocche) e zucchero a velo. Al palato si avverte l’età del campione, i toni di evoluzione sono però sotto controllo, di sicuro fascino, la beva è come foderata da una scia sapida molto piacevole. In persistenza si avverte un po’ il calore alcolico, ma è ancora una bottiglia in perfetta forma. 86