Troppo giovani per essere bianchi


Un servizio di Cucina e Vini rivela il grande ritardo del Sud
Perchè stupirsi della spazzatura?

Il mensile Cucina e Vini per il quale ho il piacere di collaborare dal 2004 ha appena pubblicato un bellissimo e originale servizio sui bianchi italiani da invecchiamento. Quando ho visto la copertina subito ho pensato: al massimo troverò il More Maiorum di Mastroberardino e forse qualche siciliano che non conosco, purtroppo mi sono sbagliato in eccesso. Da Roma in giù c’era solo il mitico Fiano di Piero invecchiato in legno grande, di cui abbiamo spesso parlato spesso con passione, a tenere alta la bandiera di mezza Italia. Per un attimo le lancette del mio orologio professionale sono piombate indietro agli inizi del mio lavoro giornalistico in questo settore, quando cioé il vino del Sud non solo non era preso in considerazione, ma neanche esisteva. Ecco dunque uno dei grandi limiti della viticoltura meridionale messi in evidenza di fatto dal sevizio dal pool diretto da Francesco D’Agostino. La cosa incredibile è che persino regioni assolutamente prive di tradizioni bianchiste, come il Piemonte e la Toscana, sono riuscite a piazzare un numero considerevole di campioni mentre la Campania, che ha due delle tre docg a bacca bianca, appena una sola etichetta. Eppure non bisogna neanche avere il diploma da sommelier per capire che i vini campani possono essere potabili almeno due anni dopo la vendemmia, come è possibile che nessuno pensa a creare delle riserve così come si fa per il rosso? Per tre motivi.
Il primo è l’assenza di una grande tradizione vitivinicola: in Campania e in tutto il Sud, con qualche eccezione, la viticoltura moderna è nata tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, per la maggior parte i protagonisti sono imprese a bassa capitalizzazione, molto spesso contadini e produttori conferitori che hanno iniziato ad etichettare in proprio. Favoriti dalle dimensioni del mercato napoletano e romano, i produttori campani hanno pensato di fare subito cash di anno in anno e trattano il bianco alla stregua di un novello. Mi sembra pazzesco che alcuni produttori di grandi Fiano non hanno neppure un archivio in cantina, come dire, di quel che è accaduto in bottiglia dopo la vendita non mi frega nulla.
Il secondo motivo è la peculiarità della vinificazione meridionale, grandi quantità e vendita immediata senza badare troppo a costruire una storia, quanto piuttosto a rinnovare il ciclo anno dopo anno.
Il terzo motivo è la mancanza di una visione strategica sotto il profilo commerciale-politico. Non a caso siamo nelle regioni dove le Strade del Vino non sono mai partite, i consorzi si contano sulle punta delle dita e ogni promozione è affidata all’elemosina del boss politico di turno che occupa la poltrona di assessore. Mi sono spesso chiesto in effetti perchè i produttori di kiwi e fragole o di carciofini non siano mai stati coccolati come quelli di vino, inseguiti sin dentro le case dai funzionari regionali per scrivere disciplinari e creare associazioni con pochi esiti. C’è, dietro questo atteggiamento, un fatalismo di fondo legato alla psicologia contadina la quale non vive con l’idea di investire, bensì di conservare, non di guadagnare ma di evitare di perdere.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la bianca Campania,e in generale tutto il Sud, ripeto con le eccezioni di Mastroberardino e di Valentini (se ancora consideriamo l’Abruzzo regione meridionale), è assente completamente nella partita più affascinante che, a mio parere, l’uomo possa giocare con l’uve, cioé la produzione di vini bianchi longevi e da invecchiamento.
Ripeto, le condizioni non mancano, basta «dimenticare» in cantina anche vini base da pochi euro e riprenderli dopo cinque, sei anni, per trovarli in forma e molto buoni, ben evoluti, pimpanti e straordinari. E in questo sito troverete i resoconti delle degustazioni di lungo corso fatte con Raffaele Troisi di Vadiaperti.
Credo che la presenza del Vesuvio ricordi a tutti incosciamente la caducità delle cose umane, viviamo oggi, beviamo tutto, oggi è possibile, domani chissà.
Sapete, cari amici che ci leggete da tutta Italia, il problema della spazzatura, così drammatico solo in questa regione, non è una metastasi isolata a sé stante, quasi un singolo settore della pubblica amministrazione che non funziona, bensì il risultato di una mentalità distorta complessiva e generalizzata che senza dubbio presenta il grande vantaggio della elasticità ma che al tempo stesso rende impossibile creare qualcosa che abbia un confine appena superiore alla propria abitazione e alla propria fisicità. Se in una regione bianchista un solo produttore su 250 ha in catalogo un bianco di lungo invecchiamento (un altro paio ci stanno provando) riuscendo a guardare in prospettiva da qui a quattro, cinque anni, perchè stupirsi del fatto che nessuno ha mai programmato come smaltire la spazzatura della regione più popolosa d’Italia dopo la Lombardia?