Un bicchiere per due. A.M.C Médoc Grande Reserve, 2006 / Kressmann


Médoc Grande Reserve 2006 – Kressmann

di Fabrizio Scarpato
E poi mica vero che i francesi sparano solo fuochi d’artificio quando si tratta di fare vino. Non che i grandi vini francesi non gli piacessero, non che certi castelli, o ancor meglio qualche piccolo rettangolino cinto di sassi e sperso su una cartina che pare il copriletto della nonna, non gli attizzassero invariabilmente la gola arsa, ma insomma, vuoi per indole, vuoi per impraticabilità, ai fuochi d’artificio lui spesso aveva preferito certi innocui bastoncini scintillanti, rischiosi, quanto a virile celodurismo, ma delicatamente intimi, al limite dell’introspezione.

Fatto sta che per definizione tutti i vini francesi, anche quelli alla portata di tasche normali, devono sbalordire, quasi uno spettacolo pirotecnico della Madonna del Divino Amore. Specchietti per le allodole, sin dall’etichetta che è spesso ridondante di stereotipi e corsivi svolazzanti, tanto che una bottiglia di Pacalet passerebbe come un’anonima stravaganza da scaffali bassi. E l’occhio dell’enostrippato quasi inorrodisce per la miriade di “chateau”, per la cornucopia di “vintage”, per i millemila “reserve”, per i miliardi di “grand” e di “cru” spesso fantasiosamente assemblati in ordine sparso.

Quella sera aveva una bistecca sulla griglia e quello scomparto del tinello che chiamava aulicamente cantina, risultava drammaticamente povero di vini rossi da battaglia: si sa, non è mai tempo di aprire un Brunello per i poveri mortali, nemmeno se c’era una lei che lo guardava con partecipazione mentre sferragliava tra fumo e scintille. Non tutte le donne sono da Brunello, sentenziò, facendo arrossire persino la sua conclamata tirchieria. Si decise per quella bottiglia francese, una dei fantastilioni di bottiglie che quella cantina produce ogni anno che dio manda in terra. C’era tutto: grand vinbordeauxmédocgrande reservegirondefrance. Boom. Serata Sex and the City: due bicchieroni panciuti e che Maillard ce la mandi buona.

Piccoli fuochi d’artificio

Il rosso è granato chiaro e tondo, ma trasparente, quasi leggero nella pulizia della rifrangenza. Piccoli fiori secchi si fan strada tra una bella speziatura e le ciliegie sotto spirito di una volta: con finezza, con inaspettata delicatezza. Il sorso è caldo, tenuto sveglio da un attacco tannico rotondo e levigato, e da una sapidità accattivante, che trova un pieno equilibrio nel finale marascoso, dal retrogusto amarognolo e pimpante. Una prugna secca, dalla polpa morbida e masticabile: poi, in fondo, il nocciolo da succhiare, avidamente.

Chissà perché aveva pensato alla prugna secca. Fatto sta che nonostante le premesse i due non si amarono: la bistecca e il vino francese, intendo, ma non solo loro. Sempre colpa della bistecca. E della padella. Epperò i francesi ci sanno fare, niente da dire. Il suo rosso inatteso, magari con un paio di gradi di temperatura in meno, la sera dopo trovò le parole per conversare amabilmente con rosei filetti di triglia, fulminati in padella, sguazzanti tra piccoli dadi di pomodoro in una purea di verdissimi e italianissimi broccoli. Bottiglia scintillante, ché i fuochi d’artificio si fanno, magari, una sola volta all’anno. Peccato fosse solo. O forse no.