Un bicchiere per due / Birra Surfing Hop, Toccalmatto


Surfing Hop, Toccalmatto

di Fabrizio Scarpato

Come sono contento che il vino sia di tuo gradimento”

Non aveva ancora capito perché quell’uomo le piaceva. Forse quel modo di parlare, antico ma diretto, suggestivo senza retorica, che la prendeva alla bocca dello stomaco. E qualcosa doveva pur significare. Aveva accettato l’invito a cena dopo qualche parola a un corso per aspiranti sommelier, poi diverse discussioni sulla porta della sala degustazione, una passeggiata fino alla macchina e tanti sorrisi per certe sue immagini iperboliche, ma molto acchiappanti, sulle quali s’era sorpresa a riflettere. Si sentiva a suo agio a quel tavolo sulla terrazza in riva al mare, proprio non pensava all’evidente differenza d’età, semmai stava sulle spine per riuscire a sentirsi bene con se stessa, non le fregava niente di essergli all’altezza dal punto di vista intellettuale, tantomeno della simpatia: desiderava semplicemente lasciarsi andare.

L’amore è mascalzone, viaggia contro mano, parcheggia sempre dove vuole…”

Ecco una di quelle frasi in contropiede. Lui le parlava d’amore e lei non se l’aspettava. All’improvviso si rese conto che quella confessione d’amore lo rendeva debole ai suoi occhi, tremendamente affascinante, ma debole. Si sentì d’un tratto inadeguata, come schiacciata da un peso che per quanto dolce e lusinghiero non riusciva a sostenere. Per questo mangiava in silenzio, spostava ogni tanto il bicchiere con la punta delle dita, gli sorrideva, guardandolo negli occhi per non umiliarlo: perché quello era l’unico modo che aveva per rendere più sopportabili le parole di lui, che, per quanto intriganti, le erano sembrate dettate da un’insostenibile urgenza, qualcosa che aveva a che fare con una sottile disperazione.

Nel bicchiere

Tu mi guardi negli occhi, io non so dove guardarti, stasera sono un libro aperto mi puoi leggere fino a tardi”

Quelle parole le erano rimbalzate nella testa per giorni: non aveva avuto sentimento per andare a leggere quel libro. Era lì a portata di mano, ma non lo aveva nemmeno sfogliato. Fino ad ammettere con se stessa che questo continuo pensarci fosse in realtà né più né meno che un rimpianto. Forse stava ancora pensandoci, quando sul finire di una mattina il nuovo collega d’ufficio si affacciò alla porta del suo studio per proporle un panino e una birra. Adesso non riusciva a distogliere gli occhi da quella schiuma color nocciola, fitta, alta e vaporosa, da tirar su con un cucchiaino, eppure per nulla pesante, anzi tessuta da bellissimi ricami che poi, dopo il sorso, indugiavano a lungo sulle pareti del bicchiere. Era una birra per lei inconsueta, dal colore bruno, come di certi vecchi cassettoni in mogano scuro: se l’avesse vista da lontano avrebbe pensato a un caffè shakerato. Che poi a pensarci bene il profumo del caffè c’era anche, mescolato a qualcosa di candito ma pungente, forse cedro, forse zenzero. Fattosi strada tra la schiuma che non andava più via, il sorso era dritto e corroborante, amaro di china e rabarbaro, vivo di arancia e balsamica liquirizia. Quella birra era una sferzata di vita, un bicchiere che tagliava via se non il passato, certamente il superfluo, con fare deciso, ma fresco e gentile. Come quel suo nuovo collega che ora le stava davanti, riuscendo persino a strapparle un sorriso. Poi all’improvviso tutti e due portarono la mano alla bocca e lievemente ma inesorabilmente ebbero necessità di un piccolo rutto: che era dolce e caramellato, come la risata che li accomunò nel superare il piccolo imbarazzo. Fu in quel momento che lei capì che non aveva bisogno di un libro aperto da leggere, ma anzi realizzò che il suo vero desiderio era scriverlo quel libro. Il suo libro.

 

Francesco De Gregori, Falso Movimento (Sulla Strada, 2012)