Un bicchiere per due / Romangia Igt, Tenores 2009, Tenute Dettori


Tenores 2009, Tenute Dettori

di Fabrizio Scarpato

Coro meu, fuente ‘ia, gradessida

gai puru deo, potho bier ‘sa vida

“Penso alla Sardegna e mi vengono in mente i Tazenda. Non ti piacevano i Tazenda di “Spunta la luna dal monte”. Marco trovò che Enrico non era affatto cambiato dopo tanti anni: il solito scassaballe provocatore. Però gli aveva fatto piacere incontrarlo a quella rassegna vinicola, in mano lo stesso bicchiere, negli occhi lo stesso vino. Tenores 2009, Tenute Dettori. “Eh già, a te piacevano i Tenores di Bitti, dicevi che avevano inciso per la Real World di Peter Gabriel, vuoi mettere col Festival di Sanremo dei Pippi Baudo… Ma eri talmente stronzo da non voler ammettere che Tenores e Tazenda in fondo erano la stessa cosa”. Enrico aveva cominciato a togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Nel frattempo guardava l’amico attraverso il rosso granato del suo vino: non immaginava quella trasparenza, quella delicata sfumatura ancora rosa sull’unghia in un Cannonau di cinque anni. Marco intanto aveva già messo il naso nel bicchiere: “Sempre di fretta tu, eh… lo devi aspettare, questo vino”.

No, lui non aspettava. Lui ci andava a sbattere contro, alle cose. Era abbastanza presuntuoso per fare di testa sua, era abbastanza attento per avvertire puzza di moda quando un’espressione la sentiva ripetere tre volte di seguito, la terza volta solo per aver concesso una possibilità di ravvedimento. Eppoi un vino meritava sempre considerazione da subito, viso a viso, naso a naso, senza scappatoie saccenti, senza scusanti non richieste, senza rete di protezione. Era lì la sfida, il piacere: imbattersi nella bellezza, nella scontrosità, nella sorpresa, persino nel difetto. E per nulla al mondo si sarebbe negato anche il più piccolo angolo di libertà. Senza contare che quel vino già di primo acchito non aveva nulla perché lo si dovesse aspettare, perché gli si dovesse concedere una seconda chance: era già a posto così, coi suoi frutti rossi, succosi d’amarena e prugna, con quello sfalcio d’erba e una rasoiata di macchia balsamica. Dopo, eran buoni tutti. E infatti: “Mirtilli, sottobosco, cannella… cosa ti avevo detto?”.

Tenores, nel bicchiere

Enrico aveva ancora il dono della sintesi. Peccato fosse sempre a suo favore, egocentrica e con pochi margini di dubbio. Marco invece il dubbio lo coltivava, fuggiva dai punti esclamativi, dal conformismo mascherato da alternativo. Peccato lo facesse pesare. Si erano odiati, ma stavano scoprendo punti in comune: e il Tenores dava loro una mano. Perché, come l’amicizia, certi vini non li puoi programmare, ti vengono e basta. In effetti il sorso aveva un che di confortevole, subito morbido e avvolgente, ma senza sdilinquimenti, perché trafitto da una lama d’acciaio, fatta di mare, di sale, di integrità: vino di carattere e austera intimità. “ Facile pensare ai pastori con la faccia al maestrale, lo sguardo dritto verso l’orizzonte. Forza e malinconia. C’è molta Sardegna”. “Sei mai stato in Sardegna?” “No”, rispose Enrico “ma nemmeno tu eri mai stato in Barbagia quando spasimavi per i Tenores di Bitti”. A Marco seccava molto ammetterlo ma quel vino, alla faccia di tutte le denominazioni messe su carta con le bandierine, raccontava una terra, forse dei sentimenti: non importava esser stati a Sennori, perché Sennori era nei loro bicchieri. Inevitabilmente: nei tannini vellutati, nel calore dell’alcol, nella dolcezza di cioccolato e carrube, nell’amaro della corteccia di china, nello spunto delle radici di liquirizia, nella bevibilità generosa e conviviale. Richiamava qualcosa che ti faceva compagnia, un volto cui si vuole bene, un ricordo uscito fuori dall’angolo di un cassetto. Qualcosa di prezioso.

“Anche Giovanna era qualcosa di prezioso”. Enrico lo disse senza alzare lo sguardo dal bicchiere, con la precisione chirurgica di chi ha un peso sullo stomaco. Anche Marco non si mosse e continuò a girare lentamente il bicchiere in punta di dita. S’erano quasi picchiati per Giovanna: all’improvviso i Tenores di Bitti le erano sembrati imprescindibili, e i Tazenda evitabile musichetta sanremese. Ma nemmeno la sgangherata curiosità di Marco avrebbe retto più di tanto alla fame insaziabile della gioventù. Erano passati vent’anni: “ Era bella Giovanna”. “Sì, ma non abbastanza” rispose Marco ritrovando il suo sarcasmo. Sorrisero sollevati, dopo un cenno di intesa. E brindarono alla vita.

 

Piccolo omaggio a Piero Sanna, voce solista (oche) dei Tenores di Bitti Remunnu ‘e Locu

e ad Andrea Parodi, voce solista dei Tazenda

 

Pensieri e appunti in seguito alla degustazione “La Sardegna dei Dettori” con Alessandro Dettori

a cura di A.I.S. Delegazione della Spezia

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