Vigna della Congregazione 2006 Fiano di Avellino docg


Antoine Gaita

VILLA DIAMANTE

Uva: fiano di Avellino
Fascia di prezzo: da 10 a 15 euro
Fermentazione e maturazione acciaio

Quando un vino è stato proclamato bianco dell’anno dall’Ais e ha avuto i Tre Bicchieri ha ancora qualcosa da raccontare?

Sicuramente sì, soprattutto quando parliamo di un Fiano che ha iniziato appena adesso a camminare. Un bianco di alto artigianato, da uve prodotte con agricoltura biologica certificata sui 3,5 ettari a circa 450 metri di altezza da cui si evince la giusta attenzione alla salubrità del suolo prima ancora che dei consumatori.
Antoine e Maria Diamante non giocano di immagine su questo versante, ma sull’unicità di ogni loro esecuzione, direi che sono la versione bianca di Luigi Tecce.
Riproviamo allora la 2006, annata, val la pena di ricordarlo, per nulla memorabile nella media ma sicuramente segnata da qualche eccezione quando si parla di alto artigianato, ossia di cura in vigna e attenzione in cantina.
Antoine ha la capa tosta irpinia ma il suo naso è francofono, e sin dalla prima esecuzione è stata la cifra predominante della sua ricerca degli odori, nella prima versione sul legno, poi la con la permanenza sui lieviti più prolungata. In poche parole il vino ha nel naso il suo biglietto da visita principale.
La sua vigna è divisa in due particelle, l’esposizione è verso Nord/Nord Est, ma questo non ha alcuna importanza vuoi per l’aumento medio delle temperatura negli ultimi dieci anni, vuoi perché al Sud certo non ci sono problemi di luce e, di fronte alla potatura verde e alla concentrazione in vigna, annate più fresche riescono persino ad essere un correttivo naturale di certe evoluzioni. Soprattutto nei rossi del periodo 1998-2003.
Lo abbiamo provato da Gemma ad Amalfi su crudi e piatti strutturati, sempre bisognosi di acidità e bianchi ben impostati.
Il colore giallo paglierino carico ma brillante annuncia già parte del percorso fatto dal vino, e il naso sostiene la premessa visiva con la pera bianca matura, punte zolfate, macchia mediterranea, nocciola tostata, persino un po’ di note balsamiche. Un olfatto intenso, mai fermo, sicuramente appagante e intrigante.

Passiamo alla bocca, dove sempre, dico sempre, i vini campani hanno una marcia in più rispetto alle promesse. Anche questo non sfugge alla regola, ci si ritrova sempre meglio di quanto non ci si debba aspettare dopo aver infilato il naso nel bicchiere. Insomma, tutto il contrario dello stile anni ’90 dove i vini avevano gli odori come spot, dolci e suadenti, per farsi bere. Anche in questo leit motiv dobbiamo segnare un elemento di successo dei vini, meglio, dei bianchi, campani in questo momento.

L’attacco non è ruffiano, niente dolcezza. Il problema è un eccesso di materia iniziale, una sorta di fila per entrare in metrò, che per qualche secondo si imballa all’inizio, poi la freschezza, ma anche l’alcol, riprendono la trama e rendono possibile un racconto dinamico sfociando nella sorpresa finale, la rivincita dell’annata direi, ossia nel rendersi conto che la materia, spalmata, è appena appena sufficiente ad evitare di parlare di magrezza. Alla fine il vino entra in bocca come un tiretto nel suo comodino.

A questo punto c’è la quarta fase della degustazione, nella quale il Vigna fa la differenza come Marsella, Clelia Romano e Ciro Picariello, rispetto a tutti gli altri. Una volta degluttito ritornano più marcate alcune note annunciate dal naso, come la pera, ma anche un piacevole amarognolo finale, da erba officinale, che pulisce radicalmente la bocca lasciando la sensazione di freschezza appagata. Come quando si mangia una caramella non zuccherosa.

Questa impennata nel finale rende sicuramente grande questo vino e lo presenta molto interessante non solo agli occhi degli appassionati, ma anche dei degustatori. Come quando si è convinti di essere di fronte alla scena finale e invece non è così.

Quali possibilità ci sono di ulteriore evoluzioni? Sicuramente almeno altri quattro, cinque anni penso che avremo queste caratteristiche. Poi vedremo se si riuscirà a rivedere la dolcezza con cui i grandi Fiano si concedono alla fine della loro carriera o se, invece, la situazione resterà così, con la sapidità a farla da padrona.

Possiamo dire di essere di fronte ad una delle migliori espressioni possibili di un bianco italiano. Tanto più ove si consideri il fatto che l’unico strumento utilizzato, oltre al vetro, è l’acciaio.

Un bianco emozionante.

Sede a Montefredane, Via Toppole
Tel. 0825.30777, fax 0825.22920
Email: [email protected]
Enologo: Antoine Gaita
Bottiglie prodotte: 8000
Ettari: 3,5 in conversione biologica
Vitigni: fiano

11 Commenti

  1. Antonie è, a mio avviso, fra i migliori interpreti del Fiano di Avellino. Il suo vino è unico, ma nello stesso tempo riconoscibile come vitigno Fiano. Sto selezionando dei lieviti autoctoni dalle sue vigne: speriamo di riuscire a trovare un ceppo da poter utilizzare in una futura sperimentazione.
    Giancarlo Moschetti

  2. Un vino, il Fiano di Antoine, che mi ricorda una splendida mattinata di gennaio, pranzo alla Taverna del Capitano con due cari amici, annate provate 2006 e 2002.
    Grande Antoine, un abbraccio fraterno.

  3. l’ho bevuto proprio ieri, che dire, vino emozionantissimo e di sicuro tra i migliori bianchi campani…a mio avviso migliore anche di marisa cuomo, specie se si fa il paragone con il prezzo dei due vini…

  4. i suoli conferiscono a questo straordinario bianco tutto acciaio, una nota di affumicato che lega bene con la nota di frutta secca propria della varietà fiano, che è molto versatile, un po’ un riesling campano.
    la longevità è molto alta ma non verificata, al momento, poiché l’acidità, di regola, non viene enfatizzata. c’è tanto da lavorare ancora dunque.

  5. Il Vigna della Congregazione è il bianco campano che più mi fa pensare a Cassano: tutto genio e sregolatezza, capace di giocate emozionanti ma anche di qualche pausa non prevista…
    Assaggiando qualche annata random in verticale, a volte si fa fatica a pensare che possa essere lo stesso vino prodotto dalla stessa mano: penso a quanto sono diverse la 2002,2004,2006 e, mi pare, la promettente 2008 rispetto a 2001, 2003, 2005, 2007 (sembra quasi che sia volontaria la dicotomia annata pari-annata dispari). Molto più nelle mie corde il primo gruppo che il secondo, dove ci sono versioni assai più “strane” ed “estreme”.
    E’ chiaro che questa imprevedibilità può essere per alcuni un punto di forza irrinunciabile, per altri un limite. Personalmente penso che il grandissimo produttore dovrebbe dopo un po’ di sperimentazioni arrivare ad un proprio stile, a una propria linea che sia come un’impronta indelebile, pur nelle diverse declinazioni delle stagioni: Coche Dury è sempre Coche Dury, nel 2002 e nel 2003, Giacosa è sempre Giacosa, J.J. Prum è sempre J.J. Prum.
    Più vado avanti e più considero la costanza qualitativa un valore di peso nel vino. E in questo senso, restando sul fiano, penso che Clelia Romano meriti di essere il punto di riferimento per chi cerca affidabilità e continuità da un anno all’altro: forse il suo fiano non ha la giocata rivoluzionaria (ma pensando a ’96 e ’99 non ne sarei così sicuro), ma un’annata “debole” di Clelia non me la ricordo, fatta forse eccezione per ’98 e 2003.
    Insomma, e mi scuso per la lunghezza, nella selezione fianesca vedrei sicuramente come centravanti Marsella con Villa Diamante numero 10, Vadiaperti e Pietracupa sugli esterni, Ciro Picariello e Clelia Romano coppia di centrocampo alla Lampard-Gerrard, qualità e quantità. Davanti alla difesa Rocca del Principe, I Favati e… e mi rendo conto che come mister non saprei proprio chi lasciare in panchina… :-)

      1. Maurè, stasera un vino di cui non conoscevo niente ma che si è rivelato esattamente il vino che desideravo: Vin de Pays Cotes Catalenes Blanc D 18 ’04 – Olivier Python. Uno di quei vini che veramente fanno sembrare i punteggi un esercizio sterile…
        Cmq integrando su Villa Diamante: sono d’accordo con te, nel titolo filmico Vigna della Congregazione è “Il Manico”, per “Montefredane” bussare Vadiaperti…
        :-))

        1. Ah ecco.
          Sembrava che ti volessi spacciare per uno che ne capisce del giuoco del pallone.

          Io stasera mi sono limitato a un Vin de Pays du Pasquale Carlò, Fien, per la precision…non proprio Montefredane, però non era male… :-)

    1. Sono molto d’accordo con il discorso della cifra stilistica aziendale sempre riconoscibile. e’ un risultato a cui devono aspirare tutti
      Direi che Clelia e Marsella ci sono sicuramente. Gli altri ancora no
      Per il Fiano
      Per il Greco vince sempre il terreno
      Per l’Aglianico credo non lo vedremo mai

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