Vino e critica internazionale dopo Parker 5| Arto Koskelo (Finlandia)


Arto Koskelo

Arto Koskelo

di Chiara Giorleo 

Come sta evolvendo la comunicazione in Italia e all’estero? Come l’offerta formativa, oggi molto più ampia, può influire e sta influendo sul trend della comunicazione del vino, sempre più sofisticata e ancor più necessaria.

Oggi lo chiediamo a: Arto Koskelo

Arto Koskelo scrive di cibo e vino con base ad Helsinki. È spesso ospite di talk shows e autore di diversi libri sul tema enogastronomico ed è conosciuto come sostenitore appassionato della cultura del ristorante (se si considera che in Finlandia non c’è ancora l’abitudine di andare alla ricerca del ristorante così spesso, ndr). La città di Helsinki lo ha premiato come Food Ambassador di Helsinki nel 2016.

Come sei “inciampato” nel settore vino?

È stata una traversata divertente iniziata con le scienze politiche e finita nel mondo del vino. Dopo la laurea nel 2008 non avevo idea di cosa fare nella vita. Tutto ciò che sapevo era che amavo bere vino e scrivere. Così ho iniziato a lavorare come giornalista freelance e ho aperto un nuovo tipo di wine blog che è diventato velocemente il blog di vino più popolare in Finlandia.

Questo ha poi aperto le porte alla stesura di libri ed interventi in radio e in TV. Dopo qualche anno ho realizzato che mi ero creato una professione e questa non aveva niente a che vedere con Karl Marx o Max Weber. Cosa di cui sono decisamente contento, onestamente. In questo periodo sto lavorando come wine writer per uno dei media più grossi in Finlandia e sono partner dell’organo di informazione Viisi Tähteä che si occupa di tutti i temi legati alla gastronomia.

Come credi sia evoluta la critica negli ultimi 30 anni? E da chi hai imparato di più?

Ad essere sincero, 30 anni fa la cultura del vino finlandese era ben poco importante. La Finlandia ha una cultura del vino che risale a 500 anni fa ma il proibizionismo degli anni ’20 e l’attuale sistema monopolistico statale hanno avuto importanti conseguenze. Oggi, però, il consumo di vino si è moltiplicato ed Helsinki è diventata una sofisticata città del vino dove si consuma un mare di Champagne.

Ho molto rispetto per i miei colleghi ma ho sostanzialmente cercato di creare un nuovo stile di comunicazione del vino. Uno stile che combina uno spirito leggero con un tono più critico. Non mi sono lasciato completamente alle spalle i miei studi in scienze politiche e mi trovo a partecipare attivamente a discussioni sulla cultura del vino e sulle politiche restrittive sugli alcolici che abbiamo.

Come reputi la comunicazione del vino italiano nel tuo paese?

Fino ad un paio di anni fa, i finlandesi bevevano prevalentemente vini sudamericani ma adesso sembra che proprio l’Italia stia tornando sulla scena. L’aumento di vendite di rossi italiani è impressionante, ormai cresce a doppia cifra. L’Italia sta lavorando bene investendo diffusamente sulla qualità anche se le persone sembrano orientarsi sempre più spesso verso i vini italiani di livello base, principalmente venduti in bag-in-box. Allo stesso tempo però la fama francese si è ridotta, quindi Forza Italia!

È noto che sia molto migliorata l’offerta formativa a disposizione di coloro che vogliono formarsi sulla tecnica di degustazione, la sommellerie, la geografia del vino e tutto il resto. Come credi che questo stia incidendo e inciderà sul presente e sul futuro – nemmeno troppo remoto – della comunicazione del vino?

Chi beve vino oggi ha una conoscenza decisamente superiore rispetto al passato. E questo dipende dalla crescita in formazione. Quello a cui assistiamo in Finlandia è che molti consumatori sono sempre più informati e sanno cosa piace loro. Allo stesso tempo sono aperti a provare cose nuove. Nei ristoranti si consuma prevalentemente vino europeo e questo si riflette negli schemi di consumo di seri appassionati di vino. Il livello di conoscenza sul vino è abbastanza buono ad Helsinki anche se c’è sempre spazio di miglioramento.In termini di formazione e diffusione della conoscenza, quello che osserviamo a livello globale, secondo me, è un segno di maturità rispetto alla cultura del vino. Prima di tutto questa è diventata globale, non più locale. Questo significa anche che non può più essere trattata come “monoculturale”. Sta diventando così versatile che non possiamo più parlare di cultura del vino ma di culture del vino.

Per esempio, il fenomeno dei vini naturali a cui assistiamo negli ultimi 2 anni può essere considerato alla peggio noioso, alla meglio interessante. Per me il fatto che il vino riesca a sollevare una subcultura così vivace che sfida lo status quo conta molto.

La cultura progredisce quanto le tesi trovano un’antitesi e alla fine si arriva ad una sintesi. E così via. I sommelier vecchio stampo hanno un loro ruolo anche se io non sempre in accordo con loro. Trovo molti vini mediocri ma credo sia il prezzo da pagare per essere un professionista in questo strano business.

Quali sono i presupposti per l’indipendenza della critica enologica?

Deve basarsi sull’indipendenza economica. Se sei pagato dall’industria del vino per scrivere recensioni non hai credibilità. È molto semplice da un punto di vista giornalistico ma in questi tempi l’intero impianto è un pantano. L’indipendenza economica richiede sicurezza economica e scrivere di vino oggi non è esattamente l’attività meglio remunerata.

Il campo del giornalismo è in trasformazione perchè tutto il sistema dei media è in continua evoluzione. Dobbiamo trovare nuovi sistemi per fornire informazioni di qualità ma stare attenti a non compromettere l’integrità del giornalismo.

Chi vedi nel futuro della critica enologica?

Penso che assisteremo ad un mix di forme di comunicazione. Persone provenienti da campi diversi si occuperanno di vino raggiungendo target diversi con nuovi modi di esprimersi. Gli esperti della vecchia scuola non detengono più la rilevanza del passato.

La comunicazione del vino non dovrebbe perdere di vista il fatto che le persone oggigiorno cercano l’intrattenimento. Se si annoiano cliccano facilmente il tasto X in alto alla pagina web. Io credo che il nostro ruolo di wine writer non sia quello di portatori di un sapere sacro ma di comunicatori di uno stile di vita. Dovremmo innanzitutto comunicare la nostra passione per il vino di qualità, la ricchezza della cultura insieme alle persone adorabili che vi ruotano intorno. Le persone tendono ad essere coinvolte quando sono ispirate, lo stesso vale per il materiale formativo.

Un consiglio per: i giovani che muovono oggi i primi passi lavorativi nel settore enoico, i consumatori più o meno appassionati, i colleghi.

Il vino è un ambito culturale come la musica o il teatro. Non sarà il più remunerativo ma c’è sempre qualcosa da guadagnare: per questo stesso motivo le persone che incontri nel settore tendono ad essere affascinanti. Un sacco di facce genuine e persone socievoli e piacevoli. Sono fortunato ad avere la possibilità di condividere un bicchiere di vino con queste persone in diverse parti del mondo. Il mio prossimo viaggio mi porterà in Corsica. Non è fantastico?

Interviste precedenti
1-Alessandro Torcoli, Italia
2-Horia Hasnas, Romania
3-Cathy van Zyl, Sud Africa
4-Akihiko Yamamoto, Giappone