Dieci vini bianchi artigianali italiani da abbinare alla frittura


Calice di vino

Calice di vino

di Adele Elisabetta Granieri

L’Italia può essere ripercorsa seguendo la scia di profumo che si sprigiona dai padelloni scuri colmi d’olio sfrigolante e non c’è niente di più divertente che fermarsi a scegliere il perfetto calice di accompagnamento, quando si vive nel paese con la più ricca biodiversità viticola al mondo.

La Valle D’Aosta custodisce gelosamente il Prié Blanc, un vitigno autoctono di origine antiche, noto per essere il più alto d’Europa. Il Blanc de Morgex e La Salle di Ermes Pavese riesce a sublimarlo con le sue note di biancospino, cedro ed una vena minerale, che anticipano il sorso vibrante e salato. Rigenerante.

La patria d’elezione delle bollicine nostrane, la Franciacorta, ci regala uno splendido dosaggio zero da uve Pinot Nero: Colline della Stella, Dosaggio Zero Rosè, in cui sapidità e mineralità si fondono con un nerbo opulento ed elegante al tempo stesso, che di abbandonare lingua e palato non ci pensa proprio.

Ci spingiamo ai margini nordorientali della penisola, fino a raggiungere i Colli Orientali del Friuli. Dove le colline iniziano a degradare verso sud, lasciando il posto alla pianura che si estende fino all’Adriatico, Marco Sara produce 1100 bottiglie di Verduzzo Friulano: salvia e capperi ed un sorso  teso, quasi citrino, che si chiude con un lungo finale sapido, gentile concessione dei terreni marnosi e calcarei.

È un Prosecco “sui generis” quello di Silvano Follador, prodotto secondo una filosofia che va oltre il concetto di “naturale”, una viticoltura fondata sulle rese basse, in completa antitesi con la mischia di Valdobbiadene. Il suo Brut Nature è uno spumante unico, che rappresenta la sintesi delle  caratteristiche di ogni particella di vigna, attraverso l’assemblaggio di tutte le basi. Il risultato è una bollicina finissima, dalle delicate note floreali e di mela verde, seguite da richiami minerali, in cui sapidità e freschezza non cedono mai il passo.

“Mai Sentito!” è l’ultimo arrivato di casa La Staffa. Ci troviamo nelle Marche, terra madre del Verdicchio dei Castelli di Jesi, dove Riccardo Baldi produce questo rifermentato in bottiglia a base di Verdicchio (80%) e Trebbiano (20%), che sorprende per lo slancio e la ricchezza del sorso. Vibrante e nerboruto, profuma di erba fresca e frutta secca. Disarmante.

Proseguiamo verso sud, fino alle colline d’Abruzzo che si estendono dall’Appennino fino all’Adriatico accarezzate dalla brezza marina e tagliate dalle fredde correnti che arrivano dal massiccio della Maiella. Qui Cristiana e Antonio Tiberio producono il loro Pecorino: note agrumate, erbe aromatiche, fiori di campo e tanto tanto succo. Peccato che la bottiglia finisca troppo presto.

Arriviamo in Campania e qui, se parliamo di acidità e sapidità, non possiamo non citare il Greco di Tufo. Quello de Le Ormere sa di agrumi e fieno, in bocca è una lama affilata. Tosto e lunghissimo.

Un po’più a sud, sulla costa cilentana, nasce La Matta” di Casebianche, uno spumante a base di Fiano rifermentato in bottiglia che profuma di buccia di limone, susina e pane fragrante. Da bere a sorsoni.

Più giù, fino allo Ionio, dove nelle campagne del crotonese Cataldo Calabretta crea il suo Cirò Bianco a base di uve Greco. Fiori bianchi e frutti a polpa gialla ingentiliscono il duro profilo minerale, che lascia solo in parte intuire il tenore di freschezza e sapidità che raggiunge il sorso.

Siamo giunti nell’estremo sud, sulle colline di Camporeale, in provincia di Palermo. Dai vigneti di Catarratto coltivati ad alberello l’azienda Porta del Vento produce “Mira”, spumante rifermentato in bottiglia con aggiunta del mosto dell’ultima vendemmia: susina, scorza d’arancia e mandorla, arricchite da piacevoli note iodate. Bocca secca e tesa. Dissetante.