Il Tokaji ungherese
di Enrico Malgi
Nel panorama dei vini botritizzati, cioè quelli ricavati da uve che sono state attaccate direttamente sulla pianta dalla cosiddetta “muffa nobile (in Francia si chiama “pourriture noble”, in Germania “edelfaule”), un piccolo fungo parassita detto anche “Botrytis cinerea”, oltre al famoso Sauternes delle Graves bordolesi, nel mondo esistono molti altri vini simili. Uno di questi, anch’esso noto agli appassionati enologici, è il Tokaji ungherese, che viene prodotto in minima parte anche nell’adiacente Slovacchia.
Vicino alla frontiera nord-orientale ungherese, al confine con la Slovacchia e l’Ucraina alla confluenza dei fiumi Tisza e Bodrog e proprio ai piedi della catena montuosa dei Carpazi, si trova la città di Tokaj. Qui si producono vini muffati da almeno due secoli prima del decantato Sauternes, in un contesto territoriale tutto particolare e connotato da un ideale microclima. Una sottile nebbia mattutina tardo autunnale, calda e umida, sale dal fondovalle e lambisce i vitigni di uve locali di Furmint, Hàrslevelu e Sàrgamuskotàly (Moscato Giallo di Lunel, o Muscat blanc a petit grains), che stanno più in alto. Compiuto il normale ciclo di maturazione, i grappoli cominciano ad appassire e gli acini sono attaccati dalla Botytis cinerea. Il sole, a sua volta, completa l’opera, asciugando gli avvizziti e muffosi chicchi, che concentrano al loro interno gli zuccheri, preservando così dolcezza e profumi.
Una volta raccolti gli acini uno per uno in varie tries, essi sono messi nei puttonyos (putton al singolare), caratteristici mastelli da 25 chili. Appena giunte in cantina, le uve botritizzate vengono pressate e ridotte in una poltiglia zuccherina e sciropposa, che viene chiamata “pasta di Aszù” (Aszù vuol dire “uva essiccata”), la quale viene aggiunta poi al mosto ottenuto con i grappoli non appassiti nelle piccole botti di 136 litri, chiamate “gònc”. Il numero dei puttonyos, carico di uve appassite da aggiungere al mosto precedente, può variare da tre a sei, in casi eccezionali anche sette-otto. Ovviamente più uva viene aggiunta dai puttonyos, più dolce e alcolico risulterà il vino finale. La pasta di Aszù rimane alcuni giorni nelle botti, dove cede al mosto i suoi prelibati zuccheri ed aromi. Dopo, queste botti vengono riposte nelle cantine scavate nella roccia di origine lavica sotto il monte, dove la temperatura si mantiene costante per tutto l’anno, intorno ai 10 gradi. Qui, poi, entra in scena un’altra muffa, il Cladosporium cellare, che ricopre pareti e botti di una patina scura. Attraverso il legno di queste botti, la muffa trasmette poi al vino particolari molecole, che aumentano la varietà dei suoi aromi e lo ossida come se fosse uno Sherry spagnolo di Jerez o un Vin Jaune di Chateau-Chalon dello Jura francese. Il vino così ottenuto si chiama Tokaji, che vuol dire della città di Tokaj.
La quintessenza di questo nettare, però, è il Tokaji Aszù Eszencia, detto anche “Imperiale”, che è un concentrato ancora più alto di zuccheri ed aromi, il quale sembra che possa conservarsi anche per oltre 300 anni! Per ottenere questo nettare molto longevo gli acini appassiti e muffati vengono messi in un grande tino dal fondo bucherellato, finché, schiacciati dal loro stesso peso, si rompono e fanno così colare un mosto denso e sciropposo, che poi viene raccolto e lasciato fermentare nelle piccole botti di rovere. Questo processo durerà mesi o addirittura anni, a causa dell’alta concentrazione degli zuccheri presenti nel mosto. Alla fine si otterrà un liquido dorato, trasparente, con un’infinita gamma di dolcezza e di aromi, per un vino raro e dalle proprietà afrodisiache e addirittura terapeutiche, prodotto soltanto nelle annate più calde e soleggiate. Nella regione, oltre al Tokaji Aszù e all’Eszencia, si producono anche altri pochi tipi di vino con le stesse uve: lo Szamorodni dolce, detto anche “édes”, oppure secco, chiamato “szàras”, e il Tokaji Foditàs, dolce.
Gli ettari coltivati per il Tokaji sono circa 5.500, in un comprensorio di 28 comuni e su un terreno con caratteristiche argillose e sabbiose. I vigneti hanno un’altezza variabile tra i 150 e i 300 metri s.l.m. La permanenza minima del vino in botte, prima di essere commercializzato, è di due anni. Tra i produttori più importanti ci sono Disznòko, Szeps e Gal Tibor. Una bottiglia di Aszù 6 puttonyos da mezzo litro costa indicativamente intorno ai 100 euro, mentre l’Eszencia da un quarto di litro può arrivare anche a costare circa 1000 euro!Per alcuni anni è stato portato avanti un contenzioso a livello europeo tra l’Italia e l’Ungheria per il diritto di usare il nome Tocai. Questo perché nelle regioni del Friuli Venezia Giulia, in modo speciale, ma anche in parte nel Veneto e nella Lombardia orientale, si è da sempre coltivato un vitigno autoctono a bacca bianca proprio con questo nome. Ora, purtroppo, da qualche anno la definizione del nome Tocai non può essere più usata in queste regioni, in quanto l’Alta Corte di giustizia europea ha dato ragione agli ungheresi.Tanto è vero che in Friuli al posto del nome Tocai si usa la denominazione “Friulano”.
4 Commenti
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Bravissimo Enrico. Hai riportato esattamente i luoghi di origine, le caratteristiche ed i sistemi di produzione
di questo nobile vino. Solo qualche appunto : il sistema di produzione che tu descrivi è quello arcaico che si usava prima della caduta del regime comunista sovietico (anni ’90). Con la sua caduta, l’Ungheria, che faceva parte del blocco dei paesi dell’est, si aprì alle nuove tecnologie di vinificazione e così, successivamente, le uve botritizzate e ridotte nella poltiglia di pasta di Aszù vengono aggiunte non al mosto ma al vino secco di base che abbia finito di fermentare . Inoltre come si è arrivati alla scoperta del Tokaji Aszù hai dimenticato di riportarcelo.
Come tutte le grandi scoperte, anche l’origine di questo vino è casuale.Nel XVII secolo il nord-est dell’Ungheria subì un periodo di forti instabilità culminate in innumerevoli scontri campali. E uno di questi scontri capitò proprio durante l’epoca della vendemmia. Naturalmente in quelle condizioni nessuno pensò a raccogliere l’uva che, rimanendo sui tralci in particolare condizioni di calore e di umidità, fu attaccata dalla cosiddetta muffa nobile. Finiti gli scontri, qualcuno, pare come sempre dei monaci, pensò bene di cercare di salvare il salvabile, così come è uso della cultura contadina. E fu così che si trovarono di fronte ad un’uva dolcissima ed aromatica che vinificata con gli accorgimenti riportati dava un vino che sarebbe poi diventato il più famoso d’Ungheria, così apprezzato dagli zar dell’epoca che fu istituito un corpo di guardia appositamente per scortare i convogli che trasportavano il prezioso liquido dall’Ungheria alla Russia.
Come al solito a te nulla sfugge, ne sai una più del diavolo. Naturalmente, come tu mi puoi insegnare, non è possibile raccontare tutto in poche righe, ma vedo che tu già conosci il resto della storia. E allora permittimi di andare oltre quello che ho già riportato. Prima cosa il sistema di vinificazione è cambiato poco da quello che so io. Per quanto riguarda la scoperta di questo vino fu veramente un caso, come tu stesso hai evidenziato. Per la precisione nei primi anni del Seicento i vignaioli di Tokaj ritardarono la vendemmia, perché erano impegnati in battaglia contro gli invasori Turchi. Dopo aver respinto gli ottomani essi si accorsero che l’uva era appassita e ammuffita e provarono ugualmente a ricavarne il vino. E fu un vino formidabile! E da allora fecero sempre vendemmie tardive e botritizzate. E’ vero anche il fatto che gli zar della Russia mantenevano un distaccamento di Cosacchi in loco al solo scopo di scortare il prezioso liquido dall’Ungheria fino alle cantine reali di San Pietroburgo. I Russi, infatti, ritenevano che il Tokaji fosse un elisir di eterna giovinezza. D’altra parte fino al 1950 questo vino veniva venduto in farmacia come ricostituente, appunto! Per quanto riguarda la longevità di questo vino si è scoperto che un vecchio mercante di Varsavia, un certo Fukier, intorno al 1945 ne possedeva addirittura 328 bottiglie datate 1606 ancora buone da bere! Eccoti altre due chicche, che forse tu già conosci. Nella annate piovose non si può ottenere il Tokaji, perché senza il sole le uve non appassiscono, ma marciscono. L’Eszencia può fermentare per anni e anni. Il maestro di cantina Gyula Borsos di Tolcsva asserì qualche anno fa che era alle prese con la fermentazione di questo vino da ben 13 anni! Aveva addirittura 640 grammi per litro di zucchero residuo e il suo volume alcolico non raggiungeva il 2%! E con questo penso che per adesso possa bastare. Forti abbracci.
se ricordo bene il tokaj ungherese e’ stato addirittura il primo vino che ho bevuto. del vino non sapevo nulla in generale ma mi affascinavano le bottiglie particolari, il colore e la bandiera italiana in orizzontale . ricordi da ragazzino. poi per tanti anni in giro non si vide piu’ nulla .adesso mi pare ci sia un giusto ritorno.
Hai dettto bene Giancarlo, è proprio così: stanno ritornando di moda i vini passiti comuni , cioé quelli ricavati dalle uve distese al sole ad asciugare su stuoie (tipo quelli di Pantelleria, per intenderci) oppure nei fruttai come il Recioto di Valpolicella o di Soave; botritizzati e, quindi attaccati dalla muffa nobile sulla stessa pianta come il Sauternes, il Tokaji, il TBA, l’Eiswein ed altri; quelli fortificati con aggiunta di alcol e quelli derivanti dal metodo solera ispano-portoghese, con lo sviluppo, poi,del lievito flor e susseguente ossidazione. A proposito del Tokaji, poi, ti dico che io possiedo una bottiglia 5 puttonyos del 1991. Teoricamente è ancora buona, ma non ci giurerei. Vuol dire che la proveremo insieme alle bottiglie di Sassicaia, va bene? Abbracci.