50 anni di Custoza DOC: una spiazzante degustazione di annate vecchie e nuove

Pubblicato in: Verticali e orizzontali

di Raffaele Mosca

Che, per esprimersi al meglio, i vini bianchi abbiano bisogno di più tempo di quello che normalmente gli si dà è cosa risaputa, ma, semmai ci fosse bisogno di un’ulteriore riprova di questo fatto, la degustazione organizzata per celebrare il cinquantenario della DOC Custoza ne fornirebbe una inequivocabile. Il Custoza, terzo membro della trinità dei bianchi veronesi (Soave e Lugana sono gli altri) ha tutte le doti necessarie per fare faville sul mercato a distanza di pochi mesi dalla vendemmia: è snello, scattante, beverino e quindi molto contemporaneo. Ma quando lo si tiene da parte per almeno tre anni dalla vendemmia, cambia completamente connotati e comincia davvero a sviluppare gli “attributi” che occorrono per dar filo da torcere a tanti grandi vini d’Italia e d’oltralpe.

Con il Custoza, siamo in un comprensorio situato tra l’hinterland veronese e il primo entroterra del Lago di Garda, che, insieme a quelli di Bardolino e Lugana, costituisce una delle ultime enclavi “mediterranee”, temperate, prima dell’arco alpino. A 20 km c’è Sirmione e a circa 40 Soave: ci troviamo, in buona sostanza, in un areale al confine tra tre regioni che da sempre è vocato alla produzione di vino bianco.

Il fattore che scombina le carte e rende questa denominazione molto diversa dalle altre è il patrimonio ampelografico: il Custoza – in passato noto come “Bianco di Custoza” – non si basa su di vitigno unico, ma consiste per disciplinare in un assemblaggio di Garganega (20-40%), Trebbiano Toscano (10%-45%), Friulano (5-30%), Cortese (0-30%), – che qui viene chiamato “Bianca Fernanda” – Malvasia, Riesling Italico, Pinot bianco, Chardonnay e Manzoni Bianco (questi ultimi da soli o congiuntamente fino al 30%). Se vi chiedete il perché di questa bizzarra composizione, beh… l’arcano è svelato (perlomeno in parte) dal nome stesso: Custoza, frazione del comune di Sommacampagna dal quale prende il nome l’intero areale, è stata teatro di ben due battaglie tra austriaci e piemontesi nel corso del XIX secolo. L’ipotesi più accreditata è che i primi abbiano portato l’uva friulana e i secondi l’autoctono della zona di Gavi.

Naturalmente questa estrema libertà d’interpretazione potrebbe avere come conseguenza il trionfo dell’individualismo – e una confusione generalizzata  –  e, invece, il consorzio, in questa occasione, è sembrato compatto e corale come pochi altri nel paese delle scaramucce e dei battibecchi tra vicini. Alle prime luci dell’alba dopo la notte buia della pandemia, nel mezzo della quale è venuto a mancare prematuramente Luciano Piona, figura di rilievo che, negli anni al vertice dell’istituzione, ha profuso grande impegno nella valorizzazione di questo vino, la DOC Custoza è ripartita coesa sotto l’egida della nuova presidente Roberta Bricolo e si è avvalsa della collaborazione di comunicatori di prim’ordine come Alessandra Piubello (Decanter), Marco Sabellico (Gambero Rosso) e Veronika Crecelius (Meininger) per far bella figura con i presenti alla celebrazione. Il messaggio che il Consorzio ha fatto passare è che si sta facendo uno sforzo collettivo per rafforzare l’immagine di un vino che, con circa 5 milioni di bottiglie prodotte ogni anno, rappresenta una goccia nel mare magno dei bianchi veneti, ma ha parecchio da offrire sul fronte qualitativo. Il progetto – hanno spiegato i relatori – é condiviso non solo dai piccoli e dai medi, che da tempo producono vini più caratterizzanti rispetto ai bianchetti da osteria che imperavano nella zona fino a qualche tempo fa, ma anche e soprattutto dalla cantina sociale del territorio, che da poco si è fusa con quella della Valpantena e ha dato vita a Cantine di Verona, un colosso che punta ad avere un peso importante anche nella fascia medio-alta, con quasi 100 ettari destinati alle selezioni per il canale Ho.Re.Ca.

Ovviamente la consolidazione dell’identità del vino passa anche per il perfezionamento del blend e tutti sembrano essere d’accordo sull’importanza della Bianca Fernanda, che nei nuovi impianti sta prendendo il posto del Trebbiano Toscano. “ È una presenza sempre più  significativa nell’assemblaggio e c’è anche chi ha provato a vinificarla in purezza – afferma Luigi Caprara, titolare dell’azienda Villa Medici – del resto è il vitigno con più carattere: quello che ci permette di avere un profilo diverso e distinguibile, soprattutto in evoluzione”. Alessandra Piubello ha raccontato a questo proposito che, negli ultimi anni, sono state condotte delle degustazioni alla cieca di Gavi e Custoza e si è compreso che un fil rouge c’è ed emerge più chiaramente con l’affinamento. Sembra, in buona sostanza, che il Friulano e la Garganega diano l’imprinting nello sprint iniziale, donando immediatezza al profilo aromatico, ma poi la varietà piemontese prende la staffetta e permette di arrivare fino in fondo alla corsa. Lo conferma la spiazzante degustazione delle annate 2016, 2014 e 2013: in molti – compreso il sottoscritto – immaginavano di trovarsi davanti a vini simili a dei buoni Soave e, invece, il paragone più azzeccato è proprio quello con i grandi Gavi da invecchiamento. Penso, ad esempio, al Minaia di Bergaglio o all’Etichetta Nera di La Scolca, che con i Custoza “affinati” condividono un mix di dolcezza – miele, pasticceria – e ventate minerali di stampo germanico.

Chiaramente “il tempo è denaro” e, allo stato attuale, il problema principale del Custoza – se di problema possiamo parlare – è proprio la fretta di molti produttori, che cercano di uscire con le nuove annate appena possono.

Dopotutto il mercato – italiano per circa l’80% – assorbe quantitativi considerevoli di questo genere di vini freschi, giovani e un po’ immaturi, e non tutti sono disposti a rinunciare a un cash flow così facile e immediato per una manciata di euro e qualche soddisfazione in più. D’altro canto, però, la prova dell’abbinamento con i piatti di mare sopraffini dello chef bistellato Giancarlo Perbellini non concede vie di scampo: i Custoza 2020, ancora in assestamento, riescono a sposare la tartare di branzino, ma in questo momento si fermano lì. Per trovare un degno compagno del risotto, del dentice, e di qualunque piatto che sia contraddistinto da equilibri più complessi (e da una certa dose di acidità), bisogna andare a pescare tra i Custoza Superiore 2018 e 2019 oppure tra le bottiglie più mature che, come ho preannunciato all’inizio, sono state le vere rivelazioni della serata.

Al netto della mia spiccata preferenza per i Custoza con qualche anno sulle spalle, mi sento di dire che la qualità media dei vini assaggiati si attesta su livelli piuttosto alti, a maggior ragione se si considera che il prezzo a franco cantina supera raramente i 6-8 € per i vini dell’annata corrente e i 10-12 per le selezioni. Di seguito le etichette che si sono distinte tra le oltre 50 degustate:

Albino Piona – Custoza 2020.

Forse l’esempio più didattico di Custoza giovane: teso e citrino, profumato di glicine, pietra focaia, lemon zest e pesca noce. E’ dinamico e rinfrescante, sapido e agrumato, piacevolmente ammandorlato nel finale pulito e di buona persistenza.

 

Corte Bogolino – Custoza 2020.

Altro vino “classico” che sa di pera kaiser e rosa gialla, lemongrass, erbe aromatiche. E’ leggermente più polputo del precedente, ma sempre dritto e snello, citrino nel finale tonico e ficcante.

 

Villa Merighi – Custoza 2020.

Una voce fuori dal coro che ammalia con i suoi leggeri profumi ossidativi – di pepe bianco, zafferano e miele – frammisti a qualche ricordo minerale. Anche in bocca sovverte gli schemi e offre una discreta polpa, la giusta acidità e un finale mielato e affumicato di bella presa. Insolito.

 

Gorgo – Custoza San Michelin 2020.

Il vino della presidente è prodotto da uve vendemmiate leggermente in ritardo e lo s’intuisce dai profumi ricchi, golosi, di albicocca e ananas, zafferano, lavanda. E’ cremoso, avvolgente, ma sempre sapido e agrumato sul fondo. Chiude balsamico e fruttato. Interessante.

 

Cantina di Custoza – Custoza Superiore Custodia 2019.

Fa un breve passaggio in legno grande questa selezione che sa di mela golden, crema di limoni ed erbe aromatiche con un cenno di burro che cresce progressivamente d’intensità. E’ sempre dritto e sferzante, ma un po’ più largo e composto rispetto ai Custoza 2020. In fin dei conti, è molto piacevole e dà conferma del cambiamento di rotta della grande realtà cooperativa.

 

Villa Medici – Custoza Superiore 2018.

Qui emerge più di qualche assonanza con un Riesling di una zona temperata come, ad esempio, il Palatinato. Un accento di pietra focaia fa da cornice a sensazioni intriganti di curcuma e zenzero candito, mandarino, ananas, un soffio floreale e un’idea d’ incenso. Il sorso è dinamico e accattivante, con la giusta struttura, mineralità a profusione, speziatura di fondo, la giusta morbidezza e un tocco ammandorlato sul finale. Ottimo.

 

Gorgo – Custoza Superiore Summa 2018.

Cambio di registro sbalorditivo: escono fuori il cherosene, l’idrocarburo, il miele e un pizzico di curry. L’ appassimento in vigna con taglio del tralcio aumenta (e di parecchio!) la concentrazione del sorso, che abbina una freschezza indomita a coccole di miele, ananas, pesche sciroppate. L’equilibrio morbido-non morbido è straordinario anche nel finale decisamente lungo. Potremmo essere a Gavi, ma anche in Alsazia…

 

Gorgo – Custoza Superiore Summa 2016.

Passano altri due anni e la musica cambia un’altra volta: c’è uno sbuffo di arancia candita da Cognac – segno di un’ossidazione non esagerata – e poi vaniglia, idromele, crema chantilly. In bocca sorprende con un guizzo acido perfettamente integro che smorza le morbidezze incipienti. Sul finale torna l’impeto minerale a plasmare un allungo notevole. Grande vino!

 

Monte del Fra – Custoza Ca del Magro 2015.

Non cerca di dimostrare meno anni di quelli che ha, ma si trova in stato di grazia. Il profumo è scuro, terragno: gommapane e mostarda di pere, fiori secchi, un tocco di tartufo. La bocca spinge sulle parti morbide, ma è rinfrescata da un ritorno balsamico e da un’adeguata dose di acidità “educata”. Non è eterno, ma in questa fase regala soddisfazioni notevoli.

 

Le Vigne di San Pietro – Custoza 2013.

Equilibrio perfetto tra freschezza e maturità a servizio del Branzino, spuma di fumetto di pesce e sucrine dello chef Perbellini. La nota di cherosene la fa da padrone e va a braccetto con sbuffi di scorza d’arancia, mandorla tostata, un’idea fresca di erbe alpine. E’ ancora tutto giocato su acidità, sapidità pimpante, con un fondo mielato appena accentuato e un turbinio di affumicatura ed erbe officinali che plasma la splendida chiosa. Che dire… semplicemente straordinario!

 

Cavalchina – Custoza Amedeo 2013.

Idrocarburi, pepe bianco e cannella, crema pasticcera, erbe officinali a profusione per un vino che sintetizza le migliori qualità dei precedenti. Otto anni dalla vendemmia non sono pochi, ma qui la progressione è ancora vibrante, giocata sull’agrume e sulla mandorla amara, con dolcezze di fondo soffuse e un guizzo sapido temprante a dimostrare che ha ancora tutta la vita davanti. Onore alla buonanima di Luciano Piona!

 


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