Fiano di Avellino 2010, otto bottiglie da stappare alla Vigilia

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Il primo in assoluto è stato Guido Marsella che decise di uscire un anno dpo la vendemmia con il Fiano guadagnandosi sorrisi e battute di sufficienza da parte dei ristoratori dell’epoca, molti dei quali poi gli hanno chiesto in ginocchio una assegnazione.


L’uovo di Colombo, una scelta molto semplice, naturale, per consentire al grande bianco irpino, forse il vino più esclusivo e prezioso che si possa vantare nel Mezzogiorno di evolvere e maturare.

Dopo di lui Antoine Gaita con il suo mitico Vigna della Congregazione prodotto da Villa Diamante.

 

 

Infine è stata la volta di Vadiaperti con il cru di Fiano, Aiperti. Nel frattempo altre aziende hanno iniziato a lavorare sul tempo, guadagnando così un mercato sempre più ampio anche se di nicchia, ma fatto di persone disposte a spendere qualche euro in più per avere qualcosa di esclusivo e ben fatto.

 

 

L’Exultet di Quintodecimo, l’azienda di Laura e Luigi Moio è un esempi odi bianco progettato per vivere molto a lungo e nonostante sia il bianco più caro della Campania finisce ben presto negli scaffali dei ristoranti.

 

 

La cantina di Ciro Picariello, vicino di Marsella, ha seguito sin dal primo anno senza pensarci sopra l’esempio e solo in queste settimane inizia a commercializzare il 2011 resistendo alle continue pressioni e ai costi di stoccaggio.

 

 

Anche Filadoro ha importato le sue uscite giocando sul tempo.
Altre aziende sposano seguendo questa impostazione:

 

 

 Masseria Murata a Mercogliano



Rocca del Principe a Lapio.
Insomma, l’avete capito, per la cena della Vigilia e quella di Capodanno, ma penso anche per iniziare il pranzo di Natale, l’ideale è un Fiano di Avellino, bianco delle grandi occasioni. La regola è dunque bere il 2010 di queste aziende per godere in pieno della evoluzione olfattiva e del ritrovato equilibrio in bocca tra acidità e struttura del bicchiere. Dal pesce alle carni bianche, alle verdure o anche, sentite questa, dopo i rossi strutturati del pranzo per rinfrancare la bocca con buona acidità. La 2010 in Irpinia è annata da incorniciare, aspettare ancora qualche anno per verificare i gioielli di queste cantine storiche: si tratta di bianchi che con il tempo si arricchiscono sul piano olfattivo senza perdere mai l’incredibile spinta regalata dalla freschezza.

Da Il Mattino del 18 dicembre 2012


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