Campania: uve antiche, vini moderni

Pubblicato in: Giro di vite

di Tom Hyland

Riceviamo dal collega americano la segnalazione di questo suo articolo che volentieri traduciamo e vi offriamo alla lettura. Un punto di vista interessante per come la Campania vitivinicola viene letta all’estero.


Senza dubbio ai produttori di vino campani, della parte sudoccidentale dell’Italia, piace ricevere riconoscimenti e recensioni entusiastiche per i loro ultimi prodotti ma per questi è ancora più importante conservare il loro patrimonio. Andrea Ferraioli, l’enologo delle Cantine Marisa Cuomo in Costiera Amalfitana, dice: “Non ci preoccupa fare il miglior vino ma fare un vino diverso, originale”.
In un Paese dove le varietà locali sono il fondamento dell’industria vitivinicola, nessuna regione più della Campania è più devota alle sue uve locali. Qui i coloni greci per primi piantarono le viti più di 2.000 anni fa; oggi, molte uve di quelle stesse varietà sono usate per produrre alcuni dei migliori vini bianchi e rossi italiani. Mentre alcuni rossi campani premiati sono ottenuti da varietà internazionali – il più famoso è il Pàtrimo, un Merlot 100% dei Feudi di San Gregorio, e Montevetrano, una meravigliosa bottiglia che si basa principalmente su Cabernet Sauvignon e Merlot – le uve antiche sono quelle che definiscono l’identità viticola della regione.

IL TERROIR
La zona della Campania più famosa per la produzione di vino è la provincia di Avellino, circa 30 miglia a est di Napoli. Questa provincia è la patria delle tre zone DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita) della regione: due per i bianchi (Greco di Tufo and Fiano di Avellino) e una per i rossi (Taurasi).
La combinazione di diversi fattori rende speciali i vini della zona di Avellino, secondo Mario Ercolino, enologo e comproprietario, con suo fratello Luciano, della cantina Vinosia. “Il terroir è davvero unico”, dice. “I suoli vulcanici, risultato di secoli di eruzioni del vicino monte Vesuvio, sono in tutta l’area”. Ercolino fa notare che gli altri terreni, come quelli argillosi e calcarei del Fiano e quelli calcarei, di marna e argilla tufacea attorno al paese di Tufo, dove sono coltivate le uve Greco, conferiscono il loro carattere ai prodotti locali. “I vini hanno una forte nota di mineralità, con profumi precisi e intensi”, osserva.
Il clima continentale temperato della Campania è un altro fattore di distinzione. Ercolino dice: “C’è poca pioggia in primavera e non molta in più fino alla vendemmia in autunno”. La maggior parte dei vigneti sono piantati a 1.000-2.000 piedi sul livello del mare, dove le temperature estive sono mitigate dai venti.
Per Pietro Mastroberardino, presidente dell’omonima cantina di famiglia ad Atripalda, il terroir produce vini eccezionali. “Lavoriamo con uve che non si trovano in nessun altra parte al mondo”, dice. “Lavoriamo con queste uve in questi speciali microclimi da molto tempo”. Aggiunge che i vini sono migliorati moltissimo negli scorsi due decenni, grazie alla ricerca clonale – prima con il Greco e il Fiano e dopo con la Falanghina, un’altra antica varietà campana.

I BIANCHI
I due migliori vini bianchi campani sono entrambi molto aromatici ma il Greco di Tufo offre note di limone e pera, confrontato con le note di mela cotogna e fior d’arancio del Fiano di Avellino. Il Greco tende ad essere più minerale nel finale, con una nota distinta di mandorla, mentre il Fiano ha un palato più succoso e un finale con cenni di miele.
La maggior parte dei produttori effettua la fermentazione solo in acciaio inossidabile per accentuare questi deliziosi profumi, sebbene alcuni fanno fermentare in parte i loro vini migliori in botti di acero usate. Il Greco è di solito al meglio entro due – tre anni dall’imbottigliamento ma il Fiano tende a essere al meglio un po’ più in là – di solito da tre a cinque anni, fino a sette – dieci anni per i migliori vigneti di vendemmie eccezionali.
La maggior parte dei migliori vini Falanghina proviene dai vigneti situati sulle coste dal clima più fresco che aiuta a trattenere l’acidità dell’uva. Tra questi Caracci di Villa Matilde, le cui uve sono coltivate vicino al mare nella provincia di Caserta a nord della Campania (Falerno del Massico DOC) e La Cruna del Lago dei Campi Flegrei DOC de La Sibilla che abbraccia il golfo di Napoli proprio a nord di Napoli. Tuttavia anche in posti leggermente più caldi, come nelle aree interne di Avellino o del Sannio DOC di Benevento, la Falanghina mantiene la sua brillantezza e la sua vitalità. Siccome nel decennio scorso la ricerca clonale ha aiutato i coltivatori a combinare le migliori piante con i migliori suoli e climi, l’identità della Falanghina è cambiata. Salvatore Avallone, proprietario di Villa Matilde, fa notare che la Falanghina “è più ricca e complessa rispetto al passato, più piena e fragrante, e anche più morbida e più vellutata nel complesso”. Invece di semplice mela verde, le bottiglie di alcuni come Serrocielo dei Feudi di San Gregorio e Morabianca di Mastroberardino mostrano aromi di ananas, mela cotogna, pera Anjou, giglio e magnolia.
Gli altri grandi bianchi campani provengono dalla Costiera Amalfitana (Costa d’Amalfi DOC), a sud-ovest di Napoli. Sebbene più rinomata per la sua bellezza romantica, anche questa è una zona vitivinicola di rilievo, con molti vigneti situati a meno di un miglio dal mare. I coltivatori locali usano i tradizionali pergolati che proteggono i grappoli dai venti forti e dal sole intenso. Proseguendo verso Furore, Ravello e Tramonti troverete varietà rare di uve bianche come la Biancolella, la Ginestra, la Peppella, la Ripoli e la Fenile. Le prime tre sono aromatiche e chiare mentre le ultime due sono più corpose e colorate; tutte hanno una pronunciata acidità e solidi tralci.
“Abbiamo cercato altre varietà”, dice Giuseppe Apicella, proprietario ed enologo della proprietà di famiglia a Tramonti, “ma queste sono quelle che funzionano meglio nella nostra zona”. I bianchi locali sono generalmente adatti a una pronta beva, sebbene il Fiorduva di Marisa Cuomo, un blend di Ripoli, Fenile e Ginestra, fermentato in barrique, è abbastanza intenso e può invecchiare per sette – dieci anni.

I ROSSI

Il panorama dei vini rossi campani è molto più semplice: l’Aglianico svetta su tutti gli altri. Come il Taurasi e l’Aglianico del Taburno nella provincia di Benevento, questo fornisce sapori di ciliegia nera e cioccolato amaro, sostenuto da solidi tannini e una buona acidità. Senza dubbio le migliori bottiglie di Aglianico in Campania possono essere considerate tra i migliori vini rossi italiani.
La zona di Taurasi comprende 17 comuni incluso Taurasi stesso. Piccole colline dominano un paesaggio in cui i vigneti sia con pergolati che tralicci Guyot si alternano ai campi. I suoli vulcanici conferiscono ai vini una marcata qualità; questo si unisce a robusti tannini e così si ottiene la ricetta per un rosso di lunga vita. I vini Aglianico prodotti dalla metà del 1960 ai primi anni 70 – quelli di Mastroberardino sono esempi magnifici – hanno ancora una bella forma e hanno fatto guadagnare al Taurasi il soprannome di “Barolo del Sud”.
Il Taurasi DOCG contiene almeno l’85% di Aglianico; mentre alcuni produttori usano nei loro blend il Piedirosso che ha una forte acidità e una tendenza alla frutta, al momento molti Taurasi sono ottenuti solo da uve Aglianico. Due o tre decenni fa i Taurasi erano spesso invecchiati in botti di castagno o botti grandi con capienza compresa tra i 2.000 e i 6.000 litri. Lo stile era più addolcito e meno tannico di quello di ora, dovuto in parte alla presenza di Piedirosso. Tuttavia queste bottiglie sono ancora molto ben invecchiate, senza dubbio ciò è dovuto all’acidità di entrambe le uve e allo sforzo consapevole dei produttori di focalizzarsi su un blend armonioso. Oggi la maggior parte dei produttori invecchia i loro Taurasi in barrique francesi, dando ai vini una qualità più vistosa caratterizzata da frutta nera matura e note calde di quercia piuttosto che le attenuate note erbacee e di spezie essiccate degli stili più tradizionali. I vini moderni hanno ottenuto recensioni favorevoli da autorevoli pubblicazioni di vino ma rimane da vedere se questi invecchieranno con l’eleganza dei loro predecessori.
L’Aglianico del Taburno è coltivato nei vigneti a nord di Benevento. Libero Rillo, il proprietario di Fontanavecchia, una delle più stimate proprietà dell’area, fa notare che queste uve differiscono notevolmente dall’Aglianico di Taurasi: “Il principale clone di Aglianico usato nella zona di Benevento produce grappoli che non sono così piccoli come quelli di Taurasi. I vini di Taurasi sono più austeri, mentre i nostri hanno un più alto tasso alcolico, un colore più profondo e meno acidità”. La zona del Taburno produce vini Aglianico che vanno da bottiglie con prezzi ragionevoli che possono essere bevuti nella loro giovinezza a vini destinati al consumo un decennio dopo la vendemmia. I più degni di nota sono il Fidelis di Cantina del Taburno, Vigna Pezza la Corte di Ocone e Vigna Cataratte e Grave Mora di Fontanavecchia. I produttori di Aglianico del Taburno hanno recentemente fatto domanda per la DOCG e si aspettano che l’attribuzione della denominazione diventi ufficiale entro due anni.

VINI DA DESSERT
Molti produttori fanno un Fiano passito che generalmente offre sapori ricchi di albicocca matura e miele. Il migliore esempio potrebbe essere quello di Luigi Maffini della provincia di Salerno, a sud di Napoli. Maffini, uno specialista del Fiano, fa fermentare e invecchiare le uve per il suo passito in botti nuove di acero. Il vino che ne risulta è caratterizzato da sontuosi aromi di ananas, banana e pera, una dolcezza delicata e una punta di acidità che pulisce il palato – una grande combinazione di intensità e finezza in un vino da dessert.
Un altro tipo di passito è ottenuto dall’uva Asprinio, coltivata nella zona di Aversa nella provincia di Caserta. Con note fresche di limone e vivace acidità quest’uva è rinomata per un sistema di piantagione in cui le viti sono fatte crescere su lunghi pali. I vendemmiatori devono arrampicarsi su scale appositamente costruite per raggiungere i grappoli che crescono a 30 piedi dal suolo. Questo è un metodo di viticoltura costoso e che necessita di molto tempo, naturalmente, ma è un’ulteriore evidenza dell’unicità del vino campano.

LA CUCINA CAMPANA
I vini bianchi campani si abbinano meravigliosamente all’appetitoso pesce del golfo di Napoli. Falanghina, Greco e le altre uve bianche, inclusa la Coda di Volpe, si esprimono al meglio con frutti di mare come cozze, calamari e polpi, specialmente quelli preparati con succo di limone. Le vongole sono un abbinamento ideale per la mineralità del Greco di Tufo o di un bianco della Costiera Amalfitana. Il Fiano di Avellino richiede pesce un po’ più ricco come il tonno o carni bianche come il maiale e il pollo. Tra i rossi il Taurasi va bene con carni rosse speziate, inclusi l’agnello al curry e il cinghiale in umido. Vini composti da uve Aglianico, più giovani e meno intensi, si sposano bene con il maiale o il pollo con capperi locali o pinoli. Per i rossi più leggeri non sbaglierete nell’abbinarli alla specialità locale preferita da tutti, la pizza margherita.

Traduzione di Novella Talamo


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