
Il vino resta uno dei modi migliori per viaggiare, conoscere le genti e i luoghi. Il segreto è restare fuori dalle piste battute da tutti, cercare nuove strade, avere il coraggio di imporre il racconto non di copiarlo. Arriviamo così a Punta Solchiaro, la parte meridionale di Procida percorrendo stradine ristrette che si allargano al momento del passaggio della piccola auto elettrica. Galline vecchie scorazzano indisturbate mentre i conigli riposano tranquilli nel verde pubblico. Stranieri che, senza un filo di sudore, vanno e vengono con valige stracariche trasportate senza fatica. Nello specchio d’acqua una gara di vela con le barche abbacchiate perché non c’è vento.
E, improvvisa, appare la vigna di Levante, la misteriosa uva tipica dell’Isola di Procida di cui non si sa ancora nulla. È dominata da una vecchia casina di caccia borbonic dell’800 usata dai nobili, poi nido di amore e di amori, acquistata e ripresa dal Cavaliere del Lavoro Carmine Caputo, imprenditore del grano, che qui ha fissato il suo buen retiro quando non cura l’attività dell’omonimo mulino fondato dal padre nella sede nuova a Campobasso.
Grazie a Biagino Lubrano Lavadera, sapiente cultore della storia agricola locale, Carmine, innamorato da sempre del’Isola di Arturo, ha piantato una vigna che ogni giorno si tuffa a picco nel mare, una bocca di vulcano spento che misura 95 metri di profondità e che per questo tiene lontano gommoni estive, barche di turisti schiamazzanti, i cafoni della musica ad alto volume. Qui regna il silenzio assoluto.
Quest’anno è la terza vendemmia di questo vigneto, la prima con una quantità di uva Levante che rende possibile la produzione di vino esclusivamente in purezza senza aggiunta di falanghina e biancolella che testimoniano l’assedio enologico a Procida da Ischia e dai Campi Flegrei. Non sarà il vino più buono del mondo, continueremo e discettare di Borgogna e Loira, ma sarà un sorso riconoscibile che va all’essenza del vino: il piacere di stare insieme e governare un territorio incredibile che si regge sull’equilibrio fra il fuoco, la terra e l’acqua frullate geologicamente anche a memoria d’uomo, cioé non solo in tempi lontani.
Insomma di questa uva non si sa quasi nulla, siamo esattamente al punto in cui stava quasi tutta la viticultura italiana all’inizio degli anni ‘90, quando si iniziarono a studiare scientificamente i vitigni autoctoni e a vinificarli con coscienza e conoscenza ottenendo anche risultati superiori ad ogni aspettativa come nel caso del Fiano e del Nerello Mascalese, tanto per restare al Sud.
Carmime Caputo mette le mani avanti: è un gioco, anzi, il termine preciso è «uno sfizio» che nell’accezione napoletana del termine vuol dire fare qualcosa per soddisfare non tanto un capriccio quanto la mente, anche a costo di non guadagnarci. Un vitigno non fa identità da solo, serve la mano dell’uomo, la sua capacità di impedire all’uva di seguire il suo corso naturale, ossia marcire o diventare aceto. In un Medioevo da social dove tutto viene messo in discussione, bisogna sapere che solo la scienza, ossia la profonda conoscenza delle origini e del comportamento di questa uva, potranno disegnare la sua autentica tipicità.
La giornata scorre veloce, in fondo si vendemmia meno di un ettaro, che presto crescerà grazie alla nuova acquisizione, nei terrazzamenti realizzati da Biagino che esprimono il governo dell’uomo sulla lussureggiante natura fatta di olivi secolari, querce, gelso, mirto. Si finisce a tavola con il coniglio alla procidana, da non confondere con quello all’ischitana, su cui le prime bottiglie clandestine di bianco per autoconsumo si sposano alla grande. Ci godiamo il silenzio in attesa del futuro.
Dai un'occhiata anche a:
- Il Piedirosso dei Campi Flegrei | L’anima rossa del territorio vulcanico a nord di Napoli
- Masseria Piccirillo: il cuore del Pallagrello, Giovanni da Bordeaux a Caiazzo
- Tenuta Pezzapane ad Alvignanello: la visione di Francesco Farina tra vino, territorio e ospitalità
- Vini Antica Masseria Venditti
- Cantine Forno a Ospedaletto d’Alpinolo
- Tenuta Loffredo: i vigneti terrazzati a Quarto nei Campi Flegrei
- I vini di Adelina Molettieri a Montemarano
- Il Carso: Vini autoctoni e autentici | Un viaggio in Friuli Venezia Giulia