Luigi Moio: le virtù del Fiano e il processo di invecchiamento dei vini bianchi

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Luigi Moio

Luigi Moio

Sul numero 6 del 15 febbraio delCorriere Vinicolo diretto da Giulio Somma ampio spazio è stato dai al Fiano di Avellino come uva da invecchiamento.
Pubblichiamo la conversazione che l’autore, Fabio Ciarcia, ha avuto con Luigi Moio.

“L’invecchiamento del vino inizia nel momento in cui l’uomo non può più intervenire – esordisce Luigi Moio – dunque quando entra in bottiglia e viene tappato, iniziando così il suo processo evolutivo. In realtà utilizziamo in modo improprio la parola invecchiamento, infatti il termine potrebbe ricordare un processo di decadimento e di conseguenza omologante. Non a caso i francesi, molto abili nell’individuare le parole giuste, per indicare il periodo necessario al completamento sensoriale del vino usano il termine ‘élevage’, come dire che in questa fase della sua vita il vino raggiunge il massimo delle sue potenzialità sensoriali. Questo importante processo è modulato da tantissimi fattori, a cominciare dal ruolo dell’ossigeno e dalle differenze nella composizione chimica tra vini bianchi e rossi. Dal punto di vista tecnico – spiega Moio – mentre nei vini rossi si è più tranquilli avendo questi una maggiore dotazione di elementi ‘protettivi’ come antociani e tannini, che svolgono una significativa azione antiossidante, per i bianchi il meccanismo è molto più delicato. Nella maggioranza dei casi, i vini bianchi ottenuti da uve neutre sotto il profilo aromatico perdono rapidamente i loro odori fruttati, e con l’avanzare dei processi ossidativi sviluppano profumi pesanti che ricordano gli odori della cera d’api, del miele, della resina di pino, della mela ammaccata. Questa evoluzione è sempre accompagnata dall’intensificarsi del colore del vino che tende verso tonalità giallo-aranciate e da una sensazione gustativa amara nel finale. Questo quadro sensoriale è tipico di un vino in cui si è avuto l’annullamento completo dei caratteri identitari a causa di un eccessivo depauperamento dei mosti durante la fase pre-fermentativa. Se l’obiettivo enologico è quello di produrre vini bianchi da invecchiamento, è necessario dunque, nel modo più assoluto, rallentare al massimo la cinetica della curva di crescita degli odori ossidativi. Per riuscirci – chiarisce Moio – oltre alle già citate problematiche da tener presente durante la vinificazione, bisogna fare molta attenzione nel seguire il vino accuratamente durante tutto il periodo di maturazione, nella delicatissima fase di imbottigliamento e in quella di conservazione in bottiglia”.

Il potenziale enologico è già presente nell’uva.

Alla base, tuttavia, rimane il potenziale enologico del vino, che nella spiegazione di Moio è già presente in modo inequivocabile nell’uva. Alcuni vitigni infatti, quelli aromatici, sono ampiamente dotati di molecole odorose in forma libera, quindi direttamente percepibili dai nostri sensi, ma per il miglioramento nel tempo diventano fondamentali quelle in forma “legata”, i cosiddetti “precursori aromatici”. L’immagine creata dal professor Moio per rendere più comprensibile il passaggio è quella dei palloncini, molecole odorose “legate” a zavorre formate da residui zuccherini, che si liberano – divenendo così percepibili dal nostro olfatto – grazie alla rottura del loro legame che li tiene bloccati alla zavorra. Un processo che può avvenire più o meno lentamente, che tuttavia è alla base della capacità di invecchiamento dei vini. Solo quelli che hanno importanti riserve di precursori infatti sapranno esprimersi nel tempo in quanto in essi si verifica un regolare rifornimento di odori “freschi”, che maschera i segnali degenerativi determinati dall’ossigeno.

“Alcune uve – spiega Moio – hanno una quantità enorme di precursori aromatici, è come se avessero un serbatoio, uno ‘scrigno olfattivo’ che libera degli odori man mano che il tempo passa. In questi casi anche l’ingresso, entro certi limiti, dell’ossigeno con la conseguente creazione di molecole di origine ossidative, non crea eccessivi problemi perché o non le percepiamo o le percepiamo in modo molto meno netto. In queste uve dopo 10 o anche 15 anni sentiamo ancora aromi floreali, ci sono varietà con potenziali enormi da questo punto di vista, uno di questi è il Riesling mentre, ad esempio, il Sauvignon blanc non avendo precursori molto stabili tende a perdere, seppur lentamente, il proprio carattere varietale nel tempo”.

Dunque non tutti i vini bianchi possono migliorare con il tempo. Tornando al Fiano, che può essere considerato un “semi-aromatico”, Moio conferma come il vitigno abbia una “buona disponibilità di precursori d’aroma”.

Lavoro in vigna ed “enologia leggera”

A questo punto rimane però da capire come questo scrigno di profumi si possa conservare al meglio, lasciando il maggior potenziale possibile in bottiglia: “Tutto parte dalla vigna, ovviamente, a cominciare dalla coltivazione dei vitigni nei luoghi meglio in sintonia con il loro ciclo vegetativo, in questo confermando come il Fiano sia una pianta perfettamente adattata ai suoli delle fresche e ventilate colline dell’Irpinia, caratterizzate da un clima rigido e una conformazione a tratti montuosa che determina forti escursioni termiche nel periodo primaverile-estivo. Poi, attenzione maniacale va posta alla sanità delle uve, alla loro maturazione, al giusto rapporto tra pianta e grappoli prodotti, in modo da ottenere un mosto con un perfetto equilibrio compositivo e ricco di precursori di componenti sensorialmente attivi”. Se si fa tutto questo, spiega Luigi Moio, “non bisogna intervenire più, qualsiasi intervento potrebbe ridurre quel potenziale che c’è, ma non è elevatissimo”. Andando al lato pratico l’invito è a non procedere con trattamenti di pulizia del mosto invasivi in fase prefermentativa, “illimpidire eccessivamente un mosto di Fiano, visto che non parliamo, per esempio, di Gewurztraminer, significa diminuire ancora di più il suo già esiguo e fragile patrimonio aromatico varietale” chiosa Moio.

Andando nello specifico del vitigno Moio spiega che “mentre per le uve a carattere varietale forte, molto ricche in precursori, c’è la possibilità di avere vini con evoluzioni positive indipendentemente dai territori dove sono coltivate, per il Fiano è molto importante l’interazione con l’ambiente, se è coltivato nell’areale giusto restituisce un mosto equilibrato che non ha bisogno di interventi eccessivi e quindi si possono mantenere tutti i precursori aromatici varietali”. La chiave rimane quella che Moio definisce “enologia leggera” che è una conseguenza logica dell’applicazione iniziale del concetto di “enologia varietale”, approcci enologici moderni finalizzati a non snaturare il prodotto finale.

“I grandi vini devono invecchiare rimanendo giovani, – chiarisce Moio – evolvere lentamente in bottiglia. Se il processo è accelerato invecchiano precocemente, invece bisogna ritardare quanto più possibile l’apparizione delle note ossidative. Il Fiano ha la fortuna di essere una delle varietà che meglio di altre può sostenere gli anni in bottiglia. Nel tempo emergono le sue note varietali, in particolare i terpeni, linalolo, geraniolo, maggiormente coinvolti nella nota floreale del Fiano, per la presenza anche del cinnamato di etile, un estere molto profumato che a basse concentrazioni amplifica la nota balsamica dei sentori floreali. Oltre ai profumi floreali, il Fiano presenta odori leggermente mentolati, che sono un po’ più erbacei se le uve sono leggermente immature. Le molecole che forniscono un contributo ai sentori vegetali e mentolati del vino Fiano sono la 3-isobutil-2-metossipirazina e 3-isopropil-2-metossipirazina, responsabili delle stesse note anche nel Sauvignon Blanc. Inoltre, al profilo floreale e mentolato in alcuni casi si associano leggeri sentori muschiati, probabilmente dovuti al terpinen4olo, un terpene presente in quantità elevata nell’olio essenziale di noce moscata. Il profumo del Fiano diventa più complesso, con lo scorrere degli anni, per l’aumento di molecole rilasciate da precursori inodori, come il ß-damascenone, che conferisce lievi note di fiori di camomilla e di tè. Infine l’1,1,6-trimetil-1,2-diidronaftalene (TDN), che coopera agli odori di idrocarburi, ed il 4-vinil-guaiacolo responsabile di leggere note di fumo, sono percepibili soprattutto nei Fiano molto vecchi. Insomma il Fiano da questo punto di vista è una varietà straordinaria – conclude Moio – e a scoprirlo sono stati innanzitutto gli appassionati, che hanno assaggiato vini invecchiati scoprendo un impianto olfattivo dove regna la fusione tra numerose note odorose caratteristiche dei grandi vini bianchi, conferendo una elevata complessità al naso che si arricchisce sempre di più con il trascorrere degli anni, ovviamente, a patto che il tappo tenga. Chi si avvia su questo tipo di percorso enologico, bellissimo e affascinante, non deve sottovalutare nessun aspetto, a partire soprattutto dalla gestione della vigna fino all’ultima delicatissima fase dell’imbottigliamento del vino”.


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