Luigi Moio: la puzza nel vino non è tipicità, ma omologazione

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Luigi Moio

di Luigi Moio

Gli “odori anomali” del vino non sono “tipicità”,  sono uguali in tutti il mondo*

 

La sostenibilità ambientale, la custodia del suolo e degli areali di produzione, il rispetto delle piante e della salute degli uomini, sono aspetti attualissimi nel modo del vino e non solo. Tuttavia tali obiettivi, altamente etici, dovrebbero essere perseguiti senza perdere di vista quelli estetici.

Il vino di elevata qualità deve essere buonissimo.
Ma che cosa s’intende per vino buonissimo? Impulsivamente si è portati a pensare che il buono sia ciò che piace, ma nel caso del vino non è possibile non considerare che i suoi profumi e il suo sapore debbano essere espressione purissima della vigna e della situazione pedoclimatica in cui essa vegeta. Questa peculiarità del vino, se vogliamo semplicissima nella sua concezione, è alla base dello straordinario fascino che esso emana ed è l’essenza stessa di concetti come terroir e crus che rendono unici i grandi vini.

L’impossibilità di riprodurre in altri luoghi del pianeta un’analoga situazione naturale costituita dall’insieme vigna-suolo-clima, è la forza e la magia di vini come Petrus, Romanée-Conti, Chateau d’Yquem.

Dunque, il grande vino deve essere la meravigliosa sintesi liquida dell’ambiente pedoclimatico in cui nasce.

Tali affascinanti concetti insieme alla loro bellezza e purezza etica sono alla base del crescente interesse nei confronti del vino da parte di numerosissimi appassionati e consumatori.

Ma fare un vino che rispetti questi principi non è per nulla facile nonostante molti pensino che sia una cosa ovvia e naturale. Questa diffusa convinzione è semplicemente dovuta al fatto che è veramente difficile riconoscere in un vino gli elementi sensoriali della sua unicità legata all’ambiente pedoclimatico in cui vegeta la vigna.

A ciò bisogna aggiungere che negli ultimi anni con la grande enfasi data essenzialmente solo agli aspetti ambientali e salutistici, si è accresciuta in modo clamoroso e inesorabile la confusione su quest’aspetto fondamentale del vino di qualità. Ciò è accaduto, essenzialmente perché si è sempre evitato di riflettere sul semplice e ovvio concetto che per ottenere un vino che sia vera espressione della vigna e del suo suolo bisogna necessariamente evitare la genesi di odori anomali durante il lungo e complesso processo produttivo che dall’uva conduce al vino.

Gli odori anomali sono dei difetti olfattivi che predominando sugli odori propri del vino ne ostacolano il riconoscimento sensoriale dei veri caratteri di tipicità territoriale. Ma l’aspetto più illogico del continuo brusio prodotto nel campo del vino parlato degli ultimi anni è che non si è mai considerato che i difetti d’odore, se presenti, sono sempre gli stessi in tutti i vini e in tutte le zone del mondo, indipendentemente dalla varietà di uva, dalle tecniche di coltivazione della vite, dall’età della vigna e dai metodi di vinificazione. Addirittura in modo davvero paradossale essi sono sempre più frequentemente associati a caratteri di tipicità territoriale mentre al contrario i difetti d’odore annullano in modo spettacolare ciò che s’immagina di rendere sensorialmente evidente in un vino, ossia la sua unicità territoriale!

Facciamo un semplice esempio. Supponiamo di degustare tre vini prodotti dalla stessa varietà di uva, ma allevata in tre areali diversi. In teoria le tre zone dovrebbero influenzare l’equilibrio tra i composti odorosi di ciascun vino in modo da renderli differenti e riconoscibili durante la degustazione. Ipotizziamo, invece, che appena dopo l’apertura delle bottiglie, i tre vini presentino un fortissimo odore di tappo.

Ovviamente, quest’odore anomalo, mascherando completamente i profumi specifici di ciascun vino, ne annullerà le differenze olfattive rendendoli molto simili. Dunque, il difetto d’odore di tappo, depotenziando enormemente i caratteri sensoriali di natura varietale e territoriale del vino, ne determinerà una omologazione sensoriale.

Ma, la forza omologante di un odore anomalo, non si manifesta allo stesso modo nelle differenti varietà di uva. Alcune di esse producono vini, per così dire, più “resistenti” all’effetto coprente del difetto d’odore, altre invece, che tra l’altro sono la maggioranza, generano vini che possono facilmente essere omologati da eventuali difetti d’odore.

Con un altro esempio cerchiamo ora di capire perché le differenti varietà possono “assorbire” in modo diverso un difetto d’odore. Sempre aiutandoci con il comunissimo odore negativo di tappo è possibile ipotizzare che lo stesso livello di contaminazione olfattiva, riconducibile a un sughero difettoso, non produca gli stessi effetti se dovesse accadere in un vino ottenuto da un’uva molto aromatica come il Gewurztraminer e in un vino prodotto con un’uva neutra, come il Trebbiano. Nel primo caso l’elevata ricchezza aromatica del Gewurztraminer riesce in parte ad attenuare la percezione dell’odore difettoso di sughero.

Quest’ultimo, invece, sarà molto più percepibile se dovesse contaminare il vino ottenuto da uva Trebbiano. In altre parole, nel caso del Gewurztraminer, è come se un odore nauseabondo fosse stato improvvisamente spruzzato in una grande profumeria, nel qual caso probabilmente il cattivo odore non sarà nemmeno percepito. Nell’esempio del Trebbiano, invece, è come se l’odore puzzolente fosse stato nebulizzato in una stanza poco profumata per cui esso sarà perfettamente percepito.

Questo esempio ci fa capire anche perché in questi ultimi anni alcuni “nuovi” approcci produttivi del vino, basati su strategie biologiche, naturali, biodinamiche, siano partiti da aree vitivinicole in cui si coltivano vitigni molto aromatici come, per esempio, l’Alsazia e la Loire.

Nei vini ottenuti dalle uve molto aromatiche, tipiche di questi rinomati areali vitivinicoli, la presenza di eventuali difetti olfattivi dovuti a una protezione minimalistica della vigna e a un minor controllo dei processi di produzione, è parzialmente mascherata dalla ricchezza di profumi che naturalmente essi possiedono.

Purtroppo l’applicazione sconsiderata di tali strategie produttive basate sull’assunto della “naturalità” a tantissime altre varietà di uva e in tantissime altre aree vitivinicole del mondo, dovuta probabilmente alla maggiore presa sui consumatori della termine “naturale”, ha minato le fondamenta dell’identità sensoriale varietale e territoriale dei vini prodotti.

Tuttavia, nonostante ciò, con grande incoerenza e imprecisione, si continuano ad usare sostanzialmente gli argomenti territorialità e tipicità a sostegno della qualità superiore di un vino, non comunicando, purtroppo, correttamente ai consumatori e agli appassionati di vino che un difetto d’odore non esprime un territorio.

*Abstract di parte dell’intervento di Luigi Moio al convegno Scienza & Vino all’EXPO.

Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento di Agraria – Sezione di Scienze della Vigna e del Vino


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