Dagli e ridagli, finalmente il rosè si sta facendo strada. Lontani dagli odori di fragole e lamponi tipici dei cessi degli Autogrill, non dolci, non morbidi. Dai colori così come li regala il vitigno, salati, freschissimi, sono davvero il vino dissetante, anche poco alcolico, di cui si sente un gran bisogno in Italia. A Radici molti hanno davvero sbancato, impressionanti i calabresi.
Ecco alcuni di quelli che più ci sono piaciuti.
Torna il Lulù di Beniamino D’Agostino dopo tre anni di assenza. Uno dei pochi casi in Italia di vigna dedicata esclusivamente al rosato.
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Un grande classico da uve negroamaro che ha dismesso i toni piacioni degli ultimi anni per puntare su freschezza e sapidità
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Anche il rosato di questa storica azienda di Cirò è proposto all’insegna del salato e della freschezza assoluta.
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Il rosato biodinamico di Cefalecchio è imperdibile: da Nero di Troia, non sculetta al naso, formidabile compagno di cibo al palato.
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Anche la Feudi detta il tema dell’acidità e del salato, ben lontana dai temi piacioni del passato.
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Magnifica espressione del territorio di Cirò, ricco, floreale, sapido, lunghissimo.
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Francesco De Franco ci regala sempre una occasione per tornare con gaudio a Cirò.
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Il rosato di tutti i rosati, inimitabile.
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Il rosato di Flora Saponari provato al Vinitaly in cui abbiamo subito creduto e che ha avuto la conferma anche dal concorso nazionale dei rosati svolto in Puglia a cura di Assoenologi.
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Ecco ancora un rosato da Cirò, davvero i cirotani hanno sbancato con questo millesimo 2013. Una nuova azienda di cui avevamo già avuto sentore nell’anteprima calabrese di Radici.
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Dalla Basilicata anche una versione di Aglianico, è quella dei fratelli Sara e Luca Carbone in una bella esecuzione di Sergio Paternoster.
Sempre dalla Basilicata un altro piccolo grande gioiellino ottenuto dall’Aglianico, fresco e dissetante, di Elisabetta Musto Carmelitano
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Dalla Sicilia, terra in cui la cultura del rosato deve ancora diffondersi, scegliamo l’inimitabile Frappato di Paolo Calì, il migliore in assoluto dell’isola.
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