Piedirosso 2005 Campi Flegrei doc

Pubblicato in: Napoli

CONTRADA SALANDRA
Uva: piedirosso
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio

Senza farla ideologica, diremo che se un Piedirosso può, sbagliando, inseguire l’Aglianico, il processo inverso è impossibile, perché il primo ha quella eleganza, la sottilezza, l’equilibrio dei profumi, assolutamente ineguagliabili e, mi sento di scriverlo, tipici, varietali, inimitabili, non riproducibili.
Allora, chi fa Piedirosso avendo come modello l’Aglianico sbaglia quanto chi fa l’Aglianico avendo come modello lo Syrah o il Cabernet. Chi fa il Piedirosso e lo arrota con il merlot è invece un ignorante perché tradisce la sua terra e sfrutta solo il nome commerciale del vitigno, specialmente se non lo dichiara perché vuol dire che sa di aver fatto una cosa sbagliata e di prendere per i fondelli chi compra la sua bottiglia.
Per fortuna, per fortuna (vorrei la voce di Demetrio Stratos) che il Piedirosso non è vino di successo e dunque non ci sono troppe caricature in giro, errori di percorso sì, certo. Appena citati: cosa significa dare tannini a un’uva usata per almeno cento anni proprio perché quasi non ne ha con estratti che viaggiano sempre intorno quota 30?
Solo l’alto artigianato può dare una traccia seria per spiegare questa uva campana.
Torniamo dal mare di Sapri dove gli amministratori dovrebbero essere messi ai ferri per come gestiscono la costa, si pensa ad una pasta e fagioli estiva, legume fresco dell’amico contadino, aglio e basilico paesani, olio di Ogliastro Cilento e peperoncino calabrese. Voilà, apriamo le finestre di casa a Vallo della Lucania e il Gelbison inizia a soffiare nelle stanze, rinfresca le pareti, ci scioglie i sensi congelati dal sole. Pasta mischiata di Vicidomini, un pomodoro per il colore e giù in cantina per riprovare dopo un anno il 2005 di Peppino Fortunato, millesimo, badate, difficile, tanto che il vino chiude bruscamente a mezza lingua, asciutto, non ha spinta strutturale a sufficienza.
Però, che vino bellissimo. Il piacere di andare sulla vespa 50 mentre gli altri vanno in Kawasaki. Il colore è rubino penetrabile, come quando si guarda dentro la piscina e si individua il fondo, e guai se non fosse così.
Il naso ha il geranio, chiudi gli occhi e pensi al rosso ma anche al verde, il verde di un gambo vegetale spezzato. Intenso, lungo. Quasi monocorde perché non gira se non con delle insorgenze prugnose di tanto in tanto.
Non si direbbe un vino complesso, ma sicuramente preciso. Molto preciso.
In bocca poi c’è il sulfureo, sapidità, torna il prugnoso, la beva è fresca, invitante: non è un vino elegante, ma pulito e sottile come una ballerina classica. Ti prende e ti conserva nelle sue mani.
Un rosso estivo, è servito fresco sui 14-15 gradi come un bianco importante, di buona abbinabilità, bevibile, leggibile anche se non sei esperto di vino.
Ecco cosa deve essere un Piedirosso. A sei euro, magari sessanta, compenserebbe le ore in vigna di Peppino Fortunato, le discussioni con Antonio Pesce, l’attesa prima di imbottigliarlo. La meraviglia di una vigna giardino nei Campi Flegrei condotta biologicamente. Ma tant’è, viviamo un’epoca in cui un cellulare finlandese costa 50 euro mentre un vino purissimo dei Campi Flegrei, lo spirito della terra, la cultura di un territorio, costa dieci volte di meno.
Ma, del resto, se le cose non stessero così, non vivremmo in questa suburbia volgare. Chissà se ne potremo assaggiare un po’ il 28 a Castelvenere. Chissà.
Assaggio del 28 agosto 2008. Inafferrabile in cantina, difficile in vigna, il piedirosso è la dannazione di enologi e viticoltori. Difficile da capire se non si è bevuto molto oppure, se non si ha il palato nel segno del napolicentrismo. Eppure se oggi dovessi esprimere il suo idealtipo varietale non avrei molta difficoltà ad enunciare alcuni descrittori comuni dal Vesuvio ai Campi Flegrei, anche nel Beneventano se volete mentre, diciamoci la verità, non altrettanto si può dire dell’Aglianico, ormai dilaniato da stili e impostazioni non solo diverse, sarebbe normale oltre che auspicabile per qualsiasi uva, ma addirittura contrapposte fra loro.
Invece il Piedirosso, forse perchè trascurato, o forse perché nessuno ci si è applicato sinora più di tanto, mantiene sempre quei caratteri impostati sulla bevibilità, la spiccata mineralità sulfurea, una frutta rossa mai completamente matura, a tratti anzi acerba per non dire verde, il sentore di geranio dolce, poco alcol, tanta freschezza, una struttura sottile ed elegante fatta eccezione per le annate 2003 e 2007. L’abilità di chi lo produce è centrare l’equilibrio fra elementi che presi singolarmente non sempre sono esaltanti ed il primo lavoro è ovviamente in vigna, come quella a terrazzamenti di Giuseppe Fortunato nei Campi Flegrei, un piccolo giardino perfetto dove ha sistemato anche gli alveari da cui è partito inizialmente per la produzione di miele, proprio come Ilaria e Daniele Di Bartolomeo a Santa Maria di Castellabate nel Cilento.
Una coltivazione biologica, molto rispettosa del terreno limoso-argilloso ricco di potassio e una piena identità di vedute con il giovane Antonio Pesce, sue alcune delle interpretazioni più interessanti dal punto di vista caratteriale in Irpinia, sul Vesuvio e, ovviamente anche qui. Sono tutti vini che avrebbero da temere per la reintroduzione del voto in condotta imposta dalla gelata conservatrice e reazionaria che soffia sull’Italia: non li acchiappi se non con la pazienza e l’esperienza. Ma c’è una cosa che mi piace di Giuseppe e di sua moglie Sandra sopra tutte: l’idea di un commercio lento e perciò intelligente.
Pensate: solo in queste ore sta imbottigliando la Falanghina 2007, cioé a quasi un anno dalla raccolta, che uscirà a dicembre insieme al Piedirosso 2006. E vi chiedo: ma quanto dovrebbe costare realmente una autentica bottiglia di territorio come questa, coltivata in vigna con rispetto dei tempi della terra, della pianta e della frutta, vinificata con semplicità in acciaio e imbottigliata con pazienza, quando il vino ha finalmente smaltito l’irrequietezza carbonica? Quanto vale una bottiglia ottenuta da viti spesso antiche in uno dei territori più strabilianti del mondo: 20, 30, 40, 50 euro? Quanto vale una cineseria del genere, come fare lo stuzzicadente da un ceppo della memorabile gag di Tognazzi e Vianello? Invece lo trovate franco cantina a poco più di sei euro, in poche parole un regalo. Il naso, intenso e persistente, conserva i toni minerali accarezzati da una frutta certa ma non esuberante, in bocca la beva è abbastanza morbida, molto dinamica, appagante e abbastanza lunga. Non è, questo è chiaro, un vinone, ma è sicuramente quanto di meglio potrete bere sulla zuppa di scampi di Procida preparata dal Tarantino al porto di Pozzuoli.

Sede a Pozzuoli. Via Tre Piccioni, 40.
Tel. 081.8541651 e 081.5265259 (anche fax).
www.dolciqualita.com
Ettari: 2,5 di proprietà.
Enologo: Antonio Pesce.
Bottiglie prodotte: 10.000.
Vitigni: falanghina e piedirosso.


Dai un'occhiata anche a:

Exit mobile version