Tenuta di Fiorano: storia ed attualità di una cantina alle porte di Roma

Pubblicato in: Giro di vite

di Gianmarco Nulli Gennari e Maurizio Valeriani

Una storia da fiction televisiva per vini mitici, amati da Veronelli e spariti all’improvviso per decisione del suo artefice. Poi ricomparsi un paio di anni fa, pronti a riprendersi il posto che meritano e l’ambizione di rappresentare la Capitale. Perché è a Roma, tra l’Appia antica e il santuario del Divino Amore, che si trova la Tenuta di Fiorano, 200 ettari di campagna in città. Una sorta di oasi, con oliveti, seminativi, pascoli, erba medica, alberi da frutto, fichi d’india, piante esotiche. E sei ettari di vigna.

Alessandrojacopo  (si scrive proprio così tutto attaccato) Boncompagni Ludovisi ha raccolto l’eredità di suo cugino, il leggendario principe Alberico Boncompagni Ludovisi , che negli anni Trenta aveva avviato la produzione con la consulenza di un certo Tancredi Biondi Santi (il Greppo di Montalcino vi dice qualcosa? Trattasi naturalmente del padre di Franco Biondi Santi). Tre etichette rare e ricercatissime, prodotte in quantità esigue e vendute esclusivamente in azienda. Con una certa ritrosia, a leggere il racconto di una visita del 1978 da parte di Doctor Wine alias Daniele Cernilli. Un taglio bordolese da cabernet sauvignon e merlot, un bianco da Malvasia, uva storica dei Castelli Romani che sono a un passo, e un altro bianco da semillon, vitigno celebre per il Sauternes in Francia ma  praticamente assente in Italia. Vino, quest’ultimo, definito da Veronelli “pazzesco”, addirittura “uno dei migliori bianchi del mondo”.

 

Verso la fine degli anni Novanta il principe Alberico, vecchio e stanco, decide improvvisamente di interrompere la produzione ed espianta il vigneto. Alessandrojacopo non ne parla, ma siamo certi che nella scelta del cugino (di cugino si tratta, anche se ci sono più di 50 anni di differenza tra i due: misteri dei rami nobiliari…) c’entri qualcosa il fatto che sua figlia si era nel frattempo sposata con Piero Antinori. Insomma, sembra di capire che tra i due non corresse buon sangue. Per completare il quadro, annotiamo che proprio di fronte alla Tenuta di Fiorano esiste un appezzamento di terreno gestito dalle tre figlie di Antinori, frutto della quota di legittima dell’eredita del principe Alberico,  che però devono ancora uscire sul mercato con i propri vini e non si sa con quali etichette dato che quasi sicuramente non potranno utilizzare il marchio Fiorano.

Fatto sta che il giovane Alessandrojacopo, appassionato di agricoltura, entra sempre più in confidenza col principe, che due anni prima di morire gli cede i diritti della proprietà e lo aiuta a reimpiantare le viti dandogli precise direttive sul dove, sul come e sul cosa. E qui c’è una grossa sorpresa: nonostante le insistenze dell’erede, gli suggerisce di non riprendere il semillon ma di puntare su grechetto e viognier, mentre per il rosso conferma la scelta del taglio bordolese. Ed ecco dunque che le vecchie etichette di Fiorano rinascono, con l’annata 2006 per il rosso e 2010 per il bianco ottenuto dal nuovo uvaggio.

In una giornata che ricordava più la campagna inglese che l’Agro romano, uggiosa, dal cielo color orzata, abbiamo assaggiato le ultime annate delle quattro etichette prodotte: Fioranello bianco, Fiorano bianco (entrambi da grechetto e viognier), Fioranello Rosso (cabernet sauvignon in purezza) e Fiorano rosso (65% cabernet 35% merlot), con un utile e piacevole approfondimento sul taglio bordolese. Tranne il primo, tutti i vini affinano in vecchie botti da 10 ettolitri di rovere e castagno, che Alessandrojacopo sta gradualmente sostituendo con legni nuovi di uguale capacità.

 

 

Vi diamo conto, come di consueto dei nostri assaggi:

Fioranello bianco 2012: erbaceo all’olfatto, fiori bianchi, frutta bianca (mela e pera), poi gialla; al palato ha un ingresso piacevole, fatto di sapidità e mineralità. Non di grande persistenza ma ben fatto per la sua categoria;

Fiorano bianco 2012: naso inizialmente riservato, nuance minerali e balsamiche, toni fumè; in bocca il legno si deve ancora riassorbire del tutto ma la materia è di grande qualità e personalità. Al contatto con l’aria e all’aumento della temperatura migliora di minuto in minuto, chiude con bella persistenza su frutta tropicale e liquirizia dolce. Oggi già godibile ma tra un anno o due e poi negli anni successivi darà il meglio di sé;

Fioranello rosso 2012: profumi classici da cabernet, peperone, erba falciata, poi una lieve speziatura e frutti rossi. Il sorso è molto piacevole, il legno sembra ben dosato e non prevarica, è sapido e scorrevole, finale di mirtilli;

Fiorano rosso 2007: nonostante l’annata calda, che un pochino si avverte, è un rosso equilibrato con un tannino ben estratto, la struttura e l’acidità sono in linea con l’annata 2007;

Fiorano rosso 2008: con questa bottiglia aperta subito prima dell’assaggio, siamo ancora più convinti che l’andamento vendemmiale conti parecchio nei vini di Fiorano. È un vino magnifico, molto più contrastato in bocca, con una vena acida sostenuta che assicura freschezza e piacevolezza di beva, piacevoli note di sottobosco sullo sfondo, avvolgente, profondo e di grande persistenza;

Fiorano rosso 1986: un salto nel passato, nella produzione del principe Alberico. Sentori di torroncino e cacao si uniscono a note speziate e di rabarbaro. Il sorso è dinamico e teso, chiude con una scia sapido e toni fumè. Un vino di quasi 30 anni, di grandissima soddisfazione, che è ancora un giovincello.
TENUTA DI FIORANO
Via di Fioranello, 19-31 – Appia Antica
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