Roma, Al Pompiere: perché accontentarsi della banalità e non rilanciare?

Al  Pompiere, la cacio e pepe

di Virginia Di Falco

Al Pompiere è un’osteria storica di Roma. Aperta – si racconta – proprio da un ex pompiere nel 1928 e gestito da allora dalla famiglia Monteferri.
Da sempre punto di riferimento per gli amanti della cucina romanesca, nonchè meta di turisti che restano sempre affascinati dai vicoli del Ghetto, alla ricerca di un buon carciofo alla giudìa.
Così, a fronte dei quasi novant’anni di gestione, per di più da parte della stessa famiglia (e con le sale sempre piene) ci siamo chiesti: ma come si sta, oggi al Pompiere? E’ soprattutto un posto per turisti o si trova ancora una buona cacio e pepe e un carciofo fatto come dio comanda?
Vediamo un po’ voce per voce: raccontando la nostra esperienza e azzardando una riflessione più ad ampio raggio sui locali storici della Capitale.

Ambiente e atmosfera
Al locale storico s’è accennato. Siamo al primo piano del palazzo cinquecentesco di Beatrice Cenci, nel Ghetto, tra Largo di Torre Argentina e Ponte Garibaldi. L’ingresso del locale, che conserva ancora qualche pezzo d’arredo antico e una piccola scala in legno che conduce alle sale, è in realtà piuttosto triste: non c’è nessuno ad accogliere chi entra e soltanto una volta sopra vi accorgerete di essere stati ripresi da una telecamera di sicurezza che fa ormai le veci di un portiere.
Ai tavoli sarete invece accompagnati dalla padrona di casa, elegante e gentile e serviti da camerieri vecchio stile, con papillon d’ordinanza e molto mestiere alle spalle. Le sale sono ampie, dai soffitti altissimi, qualcuna decorata con affreschi d’epoca. Eppure c’è qualcosa che non rende l’atmosfera davvero calda e accogliente: il pavimento freddo e anonimo soffre di una ristrutturazione non filologica, pesanti tende marroni non valorizzano l’affaccio sulle splendide stradine del Ghetto, e nell’insieme l’impressione è di una certa trascuratezza più che di fascinosa decadenza.
Servizio
I camerieri sono tutti molto professionali, abituati ad un clientela anche straniera, variopinta e varia, sanno cavarsela in ogni situazione, si muovono con destrezza tra le ampie sale con una divisione dei tavoli che gestiscono senza intoppi. E alla fine la divisa fuori moda diventa un tratto coerente con l’insieme d’antan.

Cucina
E veniamo dunque alla parte che più interessa. Cosa e come si mangia. La carta è ricca e articolata, più da ristorante che da osteria, e copre tutti i capitoli della cucina romanesca dal fritto vegetale al quinto quarto, dai primi canonici all’abbacchio, fino ai contorni e ai dessert. Tra gli antipasti, dei buoni filetti di baccalà, dalla pastella leggera e senza eccesso di unto, ma, ahimè, non perfettamente deliscati. I carciofi alla giudìa, invece, hanno deluso le aspettative: piccoli, non perfettamente ‘sfogliati’ e un po’ secchi.

Molto meglio i primi piatti provati: un’amatriciana più che discreta, con guanciale asciutto ma non secco, un buon sugo di pomodoro e la giusta dose di pecorino; un piatto equilibrato per sapori e sapidità. Anche i tonnarelli cacio e pepe, generosamente conditi e amalgamati a dovere, lasciano più che soddisfatti. Senza infamia e senza lode la parmigiana, penalizzata dal pomodoro che non ha ben legato con il resto e da  mozzarella poco convincente. Ben eseguita la cotoletta alla milanese, carne tenera e con una buona panatura, senza eccesso di olio.

Preparazione centrata anche per il baccalà alla romana ma, anche qui, un po’ più di cura nella presentazione avrebbe accontentato l’occhio oltre che il palato: siamo in un’osteria e non si chiede certo la porzionatura perfetta di uno stellato, ma neppure che sia completamente sfogliato sul piatto.
Infine l’altro classico, l’abbacchio a scottadito, risentiva di un eccesso di grassezza della carne.

Dessert entrambi con una nota stonata: il tiramisù di impostazione classica, dal sapore gradevole tuttavia mal presentato e la crostata di ricotta e visciole, con una buona farcia, ma con una pastafrolla più molle che frolla.

Vino una lista senza picchi né curiosità, con un discreto vino della casa che i proprietari si fanno imbottigliare a Frascati.

Conto: il filetto di baccalà così come il carciofo alla giudìa sono in carta a 6 euro; i primi piatti costano 12 euro; la parmigiana di melanzane 15, i secondi piatti tra 16 e 18 euro; il dessert, infine, a 7 euro. Grosso modo, dunque, siamo nella media di un’osteria del centro storico. Forse, per rapporto qualità/prezzo,  dalla parmigiana e dal baccalà alla romana, sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più.

E dunque?
E dunque siamo di fronte ad una cucina complessivamente nella fascia medio-alta dei ristoranti del centro storico di Roma. Non ci sono picchi, ma neppure clamorose cadute. Eppure. Eppure tanti particolari, a partire dalla sala, dai tavoli e dagli stessi piatti lasciano pensare ad una stanchezza nella gestione, a tratti trascuratezza. Allo stesso tempo, non tutto sembra essere perduto. Nella bilancia tra i pro e i contro, cioè, non ci vorrebbe neppure molto ad imboccare una strada diversa. In un palazzo storico così importante, con sale tanto maestose, viene da pensare quanto gioverebbero un’attenzione maggiore agli arredi, alla tavola, dei fiori freschi, delle tende più leggere, un ingresso senza mobili accatastati; ma, soprattutto, una maggiore convinzione in cucina, con una presentazione più curata dei piatti.
Concludendo
Nel centro di Roma un posto di cucina tradizionale, aperto da quasi cento anni e in una location suggestiva, con prezzi tutto sommato nella media, si riempie comunque. Anche con le tende pesanti, senza fiori freschi a tavola e con il sugo del baccalà che arriva sul bordo del piatto. Lo sappiamo. Tuttavia ci chiediamo: si può provare a non accontentarsi? A fare uno sforzo in più?
Dietro la cassa del Pompiere c’è una signora. Dunque noi siamo convinti di sì.
Come pure siamo convinti che si tratta di un discorso più generale, che non riguarda certo soltanto il Pompiere, ma la gran parte dei locali del centro storico della Capitale. l temi della locazione, della ristrutturazione degli spazi, dell’aggiornamento in cucina, non si possono naturalmente affrontare con una battuta. Soprattutto perchè comportano dei costi sovrumani. Ma allo stesso tempo, nelle osterie e nei ristoranti che hanno una storia importante e un management serio e professionale – e dunque una ricchezza incommensurabile –  spesso il confine tra fascino d’antan e trascuratezza, tra decadenza e decadimento, è ad un passo dall’essere superato. Più convinzione e determinazione nel migliorare – anche con piccoli passi – qualità dell’offerta enogastronomica e dell’accoglienza sono tanto più attesi proprio da parte di quei locali che hanno avuto un peso così determinante nella storia della ristorazione romana.

 

AL POMPIERE
Via Santa Maria de’ Calderari, 38
Tel. 06 686 8377
Aperto a pranzo e a cena
Chiuso: domenica
www.alpompiereroma.com


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