Sono cosciente di dire una banalità ma purtroppo non posso fare altro: il Piedirosso 2003 di Raffaele Moccia ha un naso e una beva da rosso borgognone.
Si tratta del Vigna delle Volpi, una piccola partita di vino passata in legno grande di cui ormai quasi si erano perse le tracce. Durante la verticale organizzata a Cap’Alice con Marina Alaimo nell’ambito della manifestazione «Aspettando Radici del Sud» questo bravo viticoltore impegnato negli Astroni tira fuori, a fianco alla 2003 lavorata in semplice acciaio, anche questa chicca. Ne sono rimaste otto bottiglie, meno tre appena cinque. Certo, con me che ne ho scritto per primo dieci anni fa ha preso l’impegno. Dovrò essere presente alla stappatura di tutte e cinque. Una specie di ius primae noctis:-) Il piacere di questa bottiglia è stato trascendentale, come solo un prodotto artigianale, lo scrivo senza ideologia, è capace di dare agli appassionati. Il naso finissimo, con sentori di petali di rosa secchi, ciliegia, pepe nere, rimandi terrosi confusi tra il tostato e la cenere. In bocca entra sottile, salato, fresco, pieno, con un buon corpo e tanta finezza. Un vino dunque moderno, che apre nuove frontiere al Piedirosso sinora sempre interpretato, da me per primo, come vino da bere fresco e giovane, al massimo nell’arco di tre o quattro anni. In realtà tentativi di allungare il passo ci sono stati, puntavano a stravolgere l’anima del vitigno con generose iniezioni di legno, concentrazione in vigna e in cantina, ipermaturazione. Invece si è visto che questo vino esile, delicato, educato, se ben curato nelle prime battute riesce a regalare grandi emozioni anche nei tempi lunghi senza mai cedere il passo a note di stanchezza ossidativa. Certo non è facile, l’Aglianico prima di dieci anni non va toccato, seguire il Piedirosso richiede altrettanta pazienda. Ma l’altra sera devo ammettere di essermi trovato di fronte a qualcosa di nuovo e mai vissuto prima in Campania. Chissa come andrà a finire.
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