I grandi vini a Salvatore Geraci

Pubblicato in: Verticali e orizzontali
Salvatore Geraci Piazzetta Milu'

di Teresa Mincione

Piazzetta Milù, nuova stella Michelin del panorama campano, nonché fiore all’occhiello del piccolo centro napoletano di Castellammare di Stabia, è ormai un vero e proprio ritrovo di cultura enologica. Lo “zampino” (e merito)  è sicuramente di Emanuele Izzo, giovane patron nonché sommelier e delegato Ais Penisola Sorrentina che per passione e professionalità ha fatto del vino un valore assoluto. L’evento tenutosi lo scorso 10 Maggio ne è la conferma.

Un incontro conviviale e ravvicinato con Salvatore Geraci mentore e motore dell’azienda agricola siciliana Palari. Nel mondo della professione di tutti i giorni Salvatore Geraci è un architetto di fama, un istrionico,  che ha fatto della professione il suo must e che ha sempre guardato il vino come un prodotto del territorio proveniente dalle vigne di famiglia; nel mondo del vino è un eroe alla moderna maniera che è riuscito, per caparbietà e convinzione, a recuperare una doc sull’orlo della estinzione e a fare dei suoi vini degli esempi di unicità lontani da facili omologazioni. Ma chi è veramente Salvatore Geraci? Un uomo, uno scrittore enogastronomico che ha saputo investire con passione e professionalità nella salvaguardia  di un vino nobile quanto antico: il Faro. Un nome, una Doc. Il nome Faro pare derivi dall’antica popolazione greca dei Pharii, che colonizzarono gran parte delle colline messinesi, svolgendo attività agricola e in particolare dedicandosi  alla coltivazione delle vigne, o verosimilmente da Punta Faro a Capo Peloro, posta all’estremità dello stretto. Un’area che vanta un’antichissima vocazione vitivinicola. Il vino Faro, difatti, era prodotto già in età Micenea (XIV secolo a. C.) e numerose testimonianze sono riconducibili a un’importante attività vitivinicola già dall’epoca greca, per arrivare, fino al XIX secolo, tempo in cui commercio ed esportazione di vino Faro furono considerevoli, anche in Francia, dove, da fonti è riportato che venisse usato anche come vino da taglio dei vini di Bordeaux e Borgogna.

Se si scava nel profondo alcuni ritrovamenti archeologici dimostrerebbero, proprio in prossimità dello Stretto di Messina, la produzione di un grande vino rosso capace di alimentare un fiorente commercio italo-francese. Durante la dominazione araba, infatti, la coltivazione della vite ebbe una brusca interruzione e, dopo una successiva breve ripresa, agli inizi del ‘900, con l’arrivo della fillossera, subì un grave arresto, fino a sfiorare il suo minimo, nel 1985, rischiando addirittura di scomparire definitivamente. Fu allora che Salvatore Geraci decise di salvare la denominazione e riprendere la produzione di quel vino che tanto aveva dato lustro al messinese. Una doc nata dalle colline e lungo le coste che si affacciano sullo Stretto di Messina in una lingua di terra chiusa tra il Mar Tirreno e il Mar Ionio. Creata nel 1976, rappresentativa di una delle più importanti aree vitivinicole della regione Sicilia. Quel che è particolare è che la Faro Doc è  è uno dei rarissimi casi siciliani di viticoltura di mare (a un km e mezzo dal mare a 500 mt s.l.m). Oggi la zona di produzione per disciplinare richiama il solo comune di Messina, da Giampilieri Marina a Capo Peloro per 32 km nella fascia jonica, e da Capo Peloro a Ortoliuzzo per 24 km nella fascia tirrenica. La base della Doc Faro è il Nerello Mascalese (45-60%) ma il disciplinare prevede altri vitigni quali il Nocera (5-10%), Nerello Cappuccio (15-30%), e fino a un massimo del 15% è consentito l’uso di Calabrese (Nero d’Avola), Gaglioppo (Montonico Nero) e Sangiovese. La particolarità di questa zona sta nel come i venti del Stretto proteggono i vitigni da una eccessiva umidità e l’esposizione verso il mare conferisca al vino un tratto peculiare. I terreni di questa fetta di Sicilia sono tendenzialmente di tipo alluvionale a medio impasto argilloso. In una visione d’insieme, tutti questi fattori incidono, intarsiano e modulano il carattere del Nerello Mascalese che in queste zone è più incisivo che in altre della Sicilia (Etna). Sull’Etna il terreno lavico e la lontananza dal mare conferiscono un imprinting unica e irripetibile ai vini che ereditano una grande riconoscibilità certamente meno scura e meno mascolina. Sullo Stretto di Messina il terreno sabbioso e il mare in prossimità sono certamente forieri di altri lasciti gustolfattivi.

Riprendendo da dove eravamo rimasti, fu l’ incontro con Luigi Veronelli a cambiare la vita di Salvatore Geraci. Un consiglio, una scelta: riprendere la Doc e salvarla (per legge l’assenza di tre dichiaranti per tre anni consecutivi bastava a cancellare d’ufficio la doc). Ma non era tutto. Gli consigliò addirittura di imbottigliare il suo vino che nasceva in alcuni ettari su un ripidissimo pendio ad ampio sguardo sullo stretto di Messina. Talmente convinto che fosse cosa buona e giusta lo mise subito in contatto con Donato Lanati, enologo lombardo di nascita e piemontese di adozione. Al tempo come oggi, uno degli enologi più sensibili curiosi e coraggiosi d’Italia che si è conquistato la fama di enologo scienziato grazie al centro di ricerca applicata in enologia e viticoltura Enosis, da lui fondato nel 1990. La risposta di Lanati fu: “se facciamo grande vino ci sto”.

Da li partì l’avventura. Era il 1990. Lanati inviò subito dei lieviti dato che Salvatore non aveva ancora i suoi indigeni. Iniziarono a vinificare e in assenza di barrique Giacosa lo omaggiò delle prime 2 barrique. Una volta imbottigliato arrivò il commento di Lanati: “Palari 1990, il miglior vino prodotto da noi”. Anche Veronelli non fece attendere il suo pensiero che su una rivista scrisse: “E’ nato il Romanée-Conti d’Italia”. “E pensare che per quattro anni ho sempre regalato il mio vino. Lo misi sul mercato solo dal 1994”, racconta Salvatore.

Da quel momento, sono passati diversi anni e la Palari, oggi, è un’importante realtà vitivinicola siciliana sullo Stretto di Messina a 600 mt s.l.m. e a un km e mezzo dal mare. L’azienda ha sede in una bellissima villa del ‘700 in località Santo Stefano Briga, con un parco viticolo di ben 6 ettari coltivati a Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Nocera (tipici dell’est della Sicilia) e altri vitigni autoctoni come Galatea e Acitana.

Il vigneto del Faro ha tre particolarità: l’altitudine, l’alberello e le vigne vecchie (oltre 80 anni di età). L’altitudine, e quindi l’escursione termica, consente di avere quella preziosa spina dorsale soprattutto per vini nati nel sole come quelli siciliani; l’alberello, consente alle radici di scendere in profondità dando l’opportunità alla vite di difendersi dalla siccità;  le vigne vecchie sono foriere di  basse e preziose rese.

Per entrambi i vini (Soprano e Palari), i tempi di maturazione e l’uso della barrique sono sotto il totale controllo di Salvatore che ha sempre scelto di evitare qualsiasi filtrazione e chiarificazione (ecco perché tempi lunghi di affinamento in bottiglia per una stabilizzazione naturale).

La vinificazione è a temperatura controllata e i lieviti scelti sono indigeni. Il Faro arriva in barrique prima che finisca la fermentazione alcolica e li sosta anche per la malolattica. Trascorre 18 mesi in barrique nuove di Troncais e Allier, poi affina per altri 18 mesi in bottiglia. Il rosso del Soprano, realizzato con gli stessi vitigni,  fa, invece, 12 mesi di barrique semi nuove poi va in bottiglia.

La degustazione di ciascun vino è stata accompagnata dai magistrali piatti di Luigi Salomone, stella michelin di Piazzetta Milù, ideati unicamente per la serata.

Ai calici …

Sicilia IGT Rosso del Soprano Palari 2011 (50% Nerello Mascalese, 30% Nerello Cappuccio, 10% Nocera, 10% Galatena)

Rubino luminoso. La matrice ferrosa è la parola d’ordine. Refoli sottili di selvatico e sottobosco. Terra bagnata, tabacco da pipa, gheriglio di noce, noce moscata, pepe nero. Un bouquet scuro e mascolino impreziosito da picchi di mentuccia, incenso, grafite. Il palato succulento e ruggente conserva una finezza nel sorso. Il tannino è presente ma ben integrato e smussato. La sapidità è al passo con la freschezza. Buona persistenza e piacevolezza.

Abbinamento dello chef: Uovo, pappa al pomodoro, fave e pecorino

Faro Doc 2011 Palari (50% Nerello Mascalese, 30% Nerello Cappuccio, 10% Nocera, 10% altri vitigni)

Impeto e passione!

Rubino compatto, luminoso di buona trasparenza.  La profonda tessitura odorosa si racconta in refoli di china, terriccio, viola, grafite, liquirizia. Le erbe aromatiche si fondono con il sentore di goudron. E’ la traccia ematica a raccontare della terra natia assieme alla nota iodata. Un calice che esprime continuamente il territorio in cui nasce. La pienezza del sorso e il nerbo sposano l’eleganza. Di grande godibilità grazie alla perfetta estrazione tannica e alla sapidità sciolta nella massa glicerica. Il trascorrere del tempo evidenzia una nota marina che riporta esattamente a dove cresce questo vino poco distante dal mare. Incredibile lunghezza. La chiusura leggermente amaricante è molto piacevole. Un vino di grande nerbo e personalità.

Abbinamento dello chef: Mischiato potente con ceci, ragù di totani alla brace e polvere di alghe.

Faro Doc 2010 Palari

Un’ottima annata, direbbe  Ridley Scott.

Rubino splendente di buona trasparenza. Profumi intensi e subito capaci di condensare immediatamente tratti intensi e scuri: humus, pepe nero, macchia mediterranea. Piccoli cenni ferrosi si fondono nei sottili sentori di cuoio, liquirizia, carruba. Iodio in sottofondo.  La morbidezza del sorso è in primo piano. Racconta un grande equilibrio e una grande personalità. La freschezza è magistrale e sposata alla interminabile sapidità. Il tannino intarsiato e rotondo contribuisce a fare della godibilità uno dei tratti peculiari di questo calice. Equilibrio e eleganza non finiscono mai. A chi piace farsi coccolare è il calice giusto.

Abbinamento dello chef: Tortello ripieno di maschiarieillo, liquirizia, Provolone del Monaco e tartufo nero estivo

Faro Doc 2009 Palari

Meravigliosa creatura, direbbe la Nannini in celebre successo degli anni novanta.

Nove anni raccontati in uno splendido color rubino tendente al granato non molto fitto e dalla buona trasparenza. Incanta con i suoi profumi di arancia sanguinella, rabarbaro, chinotto, tabacco, menta essiccata, legno di cedro. La nota fruttata fa capolino in questa annata (nascosta nelle altre) con tocchi di ciliegia. Al palato ha una freschezza dilagante, grande sapidità  e un tannino magistrale. Intrigante, elegante, suadente, persistente.

Un vino onirico capace di trascinarti con se nei profumi della bellissima Sicilia, di raccontare nei suoi refoli odori di terre scure, di sembianze mascoline e al tempo stesso di affascinare con una femminea sensualità ed eleganza.

Abbinamento dello chef: Piccione fondente, nespole e alloro

In una visione d’insieme rispetto all’annata, la 2011 si racconta forte e giunonica dall’interessante nerbo, la 2010 si ricorda per la morbidezza e soavità gustolfattiva tipica dell’annata perfetta, la 2009 per essere il “balanceo” (direbbero gli amanti del tango), ossia il giusto equilibrio tra la 2011 e la 2010, che senza mezzi termini si traduce in grande personalità, grande bouquet ma allo stesso tempo grande raffinatezza e persistenza.


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