26 maggio 2001
La meschina vendetta postuma di Tacito, storico ostico, mediocre e fazioso, ci ha trasformati in simpatizzanti di Tiberio sin dai tempi del liceo. Ma solo il passar del tempo ha consentito di disvelare la causa recondita di questa stravaganza adolescenziale. Primo, chi abbandona Roma la Cinica per andare a governare l’impero da Capri è persona che ha capito l’essenza della vita e per questo va ammirata e possibilmente imitata. Secondo, il grande Tiberio era un appassionato gastronomo, preferiva dedicare i suoi pensieri alle ostriche di Lucrino e organizzare nell’isola i migliori banchetti dell’epoca con prodotti di prima qualità ricercati e selezionati con cura in ogni angolo della Terra dominato da Roma. Terzo, Tiberio è il nome della prima azienda vitivinicola caprese, una delle più antiche della Campania, fondata nel 1909 da Carlo Brunetti. Sicché davanti ai classici ravioli capresi, quelli con la farcia di cacio e spezie la cui combinazione è gelosamente tenuta segreta dalle ultime massaie (a noi piace pensare e scrivere questo anche se non è più vero) o davanti ad un totano imbottito, il Capri rosso doc è un buon abbinamento. Piedirosso, Falanghina e Biancolella sono coltivate su circa 200 ettari ai piedi del Monte Solaro. La Vinicola Tiberio (via Trieste e Trento, 29, Anacapri. telefono 081 8371261) è nel cuore dell’Antico Convento di San Michele, ex monastero di Vergini Teresiniane Calzate, fondato dalle suore nel 1683. A condurre l’azienda quattro nipoti del cavaliere Brunetti, Carlo, Salvatore, Lino e Maria Laura coadiuvati dall’enologo Roberto Mazzer. Da sempre i produttori devono difendersi da velenosi sospetti alimentati dai tipici sempliciotti che si piccano di essere furni («Dov’è l’uva per fare tutto questo vino?») ai quali va ricordato che la Doc sull’etichetta è garanzia per il consumatore. Sul vino e sul calcio in Italia non si scherza.
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