Abbecedario. G come Gastrofighetto

Pubblicato in: Album

di Giulia Gavagnin

Il Gastrofighetto, denominato altrove anche gastrofregno (il senso comune della bellezza non è di casa) è un prodotto degli anni Dieci in rapida via d’estinzione.

Figlio spurio del gourmand degli anni Ottanta-duemila, si distingue da questi per l’ineffabile volontà di apparire maledettamente moderno, contemporaneo, avanguardista, di ascrivere al passato definitivo lo snobismo milanese di Marchesi e l’estro contadino di Vissani e di essere sempre proiettato al futuro, incarnato dagli epigoni di Ferran Adria prima e dai cuochi con le mannaie tatuate sugli avambracci poi.

Il gastrofighetto non è un critico gastronomico né un giornalista. E’ un soggetto che svolge un altro lavoro, ma nel tempo libero si getta a capofitto nell’attività in cui è convinto di eccellere sopra a ogni cosa, e che solo un destino cinico e baro non gli riconosce come l’attività che meritatamente dovrebbe svolgere per ottenere la massima riconoscenza sociale: il gettarsi a capofitto in ogni ristorante moderno o contemporaneo del globo terracqueo per soppesarne pregi e difetti, carenze e meriti nell’universo gastronomico, attraverso post sui social o articoletti sui loro blog dallo stile letterario variegato e quasi mai utile.

Il gastrofighetto, come si diceva, nasce negli anni Dieci e oggi ha più di quarant’anni, in alcuni casi è oltre i sessanta. Veste in quel modo che un tempo si definiva “giovanile”, a oltre cinquant’anni indossa ancora magliettecollescritte per farci capire che gli piace Bob Dylan o supporta Greenpeace. Essendo un avanguardista convinto, è quasi sempre di sinistra. Questa ideologia fa decisamente a pugni con la sua passione per i ristoranti d’avanguardia che costano quattrocento euro a cranio, ma è un punto che ignora o fa finta di non sentire. E’ un intenditore, e come i maiali di Orwell e’ sempre un po’ più uguale degli altri e quindi anche se codesti locali sono destinati alla borghesia o alla nuova borghesia, lui se ne sente l’ideologo e il socio sostenitore eletto. Del resto, come disse Maria Antonietta, se il popolo ha fame e non ha il pane, mangerà’ brioche.

Il gastrofighetto prende a braccetto lo chef, lo chiama per nome e millanta amicizia con la di lui famiglia fino alla settima generazione con chicchessia, convinto di averne conquistato la stima per il suo estro. E invece no, lo chef, che perlopiù si ritiene un artista, come tutti gli artisti e’ maledettamente vanitoso, e se arriva chiunque a incensarne la creatività nonché beltà, state certi che si scioglierà al sole, esattamente come fanno i maschi con le prezzolate quando fanno credere loro di essere i più grandi amatori della terra e invece sono solo buoni o medi pagatori per quel che vogliono sentirsi dire.

Il gastrofighetto appartiene a una cerchia di gastrofighetti, perlopiù virtuale, che si scambia foto e recensioni via web, esponendole al pubblico per far vedere chi ha collezionato più stelle.

Ostende pareri con linguaggio tecnico medicale, a volte con spirito autoptico, ovvero con enfasi legale, come un giudice che pronuncia una sentenza in nome del popolo italiano. Fino a scomodare colui che morì in croce. “In verità io vi dico che chef Edgardo de baronchelli con l’assoluto di sale dell’Himalaya vincerà il pallone d’oro dei cuochi e io sono suo amico e intimo confidente”.

La notizia amara per il gastrofighetto è che, ormai, di lui non gliene frega più niente a nessuno.

Quando si è affacciato sulla scena, pregno della sua sapienza, aveva un intorno di trentacinque ed era ancora un tipetto che poteva risultare interessante: vestito da giovane, aveva ancora i capelli, macinava decine di km sulla bici da hipster, era uno avanti:

Scavallati 45-50, di lui non gliene frega niente a nessuno, perché a nessuno interessa la gente di mezza età, a meno che, per i più colti, non sia candidata a un Nobel. Se a cinquant’anni hai ancora le magliettecollescritte e non coltivi il sobrio stile Armani, sei solo un vecchio con le magliette fatte in Bangladesh con lo sfruttamento dei bambini. Punto.

In secondo luogo, i suoi ristoranti esibiti su Instagram, non fanno più invidia a nessuno.

Nell’epoca dell’Ozempic, del digiuno intermittente, nell’epoca in cui anche i più perfidi ciccioni hanno perso ottanta chili, il ristorante è l’ultimo dei luoghi che destano invidia. Oggi, se vai dal tristellato che per 350€ ti fa il menù con gli scarti del pesce e ti racconta un sermone di mezz’ora e lo dici in giro fai solo la figura del pirla.

Altro che invidia.

Il gastrofighetto e’ destinato all’estinzione nel cimitero dei gastrofighetti con i suoi amici. Moriranno di invidia reciproca nella conta dei risoteranri, dimenticati dal mondo che va in un’altra direzione, impegnati a lodare una foglia di lattuga con assoluto di sale dell’Himalaya che ai più giovani fa lo stesso effetto che facevano a me le canzoni di Fred Bongusto che ascoltava mia nonna.


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