Muore a 65 anni il patron della pizzeria La Sorgente a Guardiagrele
Arcangelo Zulli, patron de La Sorgente a Guardiagrele
di Fabio Riccio
Si è spento a 65 anni Arcangelo Zulli, il pizzaiolo abruzzese che ha saputo cambiare per sempre il destino della pizza nella sua terra. Un innovatore autentico, un artigiano visionario che ha “svegliato” un mondo troppo spesso assopito nella ripetizione, aprendo la strada a una nuova idea di pizza, colta, consapevole, profondamente territoriale.
In un tempo in cui la pizza in Abruzzo viveva di imitazioni, ancorate a modelli pseudo-napoletani e a una tradizione ripetuta più per inerzia che per convinzione, Zulli ha avuto il coraggio di staccarsi dal coro. Lo ha fatto in silenzio, con la determinazione ostinata di chi crede che la vera rivoluzione non abbia bisogno di proclami, ma di sostanza.
Per lui tutto partiva dalle farine. Era lì, nel gesto antico dell’impasto, che iniziava la sua ricerca. Studiava grani locali, tempi di lievitazione, equilibri invisibili. Reputava la pizza come un organismo vivo, in cui ogni ingrediente doveva avere un senso, un ruolo, una dignità. Zero spazio per l’approssimazione: la precisione era la sua forma di rispetto.
Ma se la base era scienza e sudore, il condimento era poesia. Arcangelo Zulli ha insegnato che “ciò che metti sopra” è importante quanto il modo in cui lo metti. Molte sue pizze erano costruite come piatti di cucina contemporanea, pensate con la testa e realizzate con il cuore. Usava prodotti del territorio — la ventricina, la patata della Maiella, il fior di latte di piccoli caseifici, le erbe spontanee, i pesci dell’Adriatico — ma li trattava con un rigore da alta ristorazione. Ogni combinazione nasceva da uno studio di equilibrio e sapidità, mai dal caso.
Zulli ha davvero raccontato l’Abruzzo attraverso un disco di pasta. Molte delle sue pizze erano delle vere e proprie mappe gustative della regione, un dialogo proficuo tra montagna e mare, tra semplicità contadina e ambizione contemporanea. Con questa visione ha ispirato un’intera generazione di pizzaioli, aprendo la strada a quello che oggi molti definiscono, senza esagerazione, il “distretto della pizza di qualità sotto la Maiella”: una rete spontanea di forni, pizzerie e laboratori che condividono lo stesso credo — qualità, coscienza e territorio.
Eppure, chi lo conosceva sa bene che Arcangelo non amava essere definito “maestro”.
Era un uomo di poche parole, ruvido nei modi, ma generoso nella trasmissione del sapere. Preferiva far parlare le mani e il forno. Osservava la fiamma come un artista guarda la propria tela, cercando in ogni cottura quella vibrazione perfetta che distingue un impasto ben fatto da un impasto vivo.
«La pizza è semplice solo per chi non la capisce,» pare che ripetesse di sovente ai suoi allievi. In quella frase, a prima vista dura, si nascondeva tutta la sua filosofia: la semplicità come punto d’arrivo, non di partenza.
Con la sua scomparsa, l’Abruzzo perde una delle sue figure più autentiche, uno di quei talenti capaci di cambiare le cose senza clamore.
Perché Zulli rifuggiva la facile visibilità: cercava verità. Ha restituito dignità a un mestiere troppo spesso sottovalutato, mostrando che anche un pizzaiolo può essere un intellettuale del gusto, un interprete del territorio, un artigiano del pensiero, ma assolutamente seenza atteggiarsi a maître à penser .
I colleghi lo ricordano come un riferimento, un punto fermo, un uomo capace di unire rigore tecnico e sensibilità umana. I suoi allievi parlano di lui come di un padre severo ma giusto, capace di trasmettere non solo tecniche, ma valori. I clienti, invece, conserveranno per sempre il ricordo di quelle pizze che sorprendevano senza stupire, emozionavano senza gridare.
Nei prossimi giorni, molte pizzerie abruzzesi accenderanno simbolicamente un forno in suo onore. Sarà un modo per dire grazie a chi, con gesti lenti e idee precise, ha acceso un fuoco che non si spegnerà.
Arcangelo Zulli lascia la moglie, i figli e un’eredità fatta di farina, pensiero e passione. Ma soprattutto lascia un Abruzzo gastronomico molto più consapevole, più coraggioso, più vero.
Perché la sua è stata una lezione che va oltre la cucina: un invito a credere nella forza delle radici, nel valore della qualità, nella bellezza delle cose ben fatte.
Oggi la fiamma del suo forno si spegne, ma il suo calore resta.
Resta nel profumo della pizza appena sfornata, nel gesto di chi impasta con rispetto, nella curiosità di chi sperimenta senza dimenticare da dove viene.
E resta, soprattutto, in quell’eco sottile che accompagna ogni grande maestro quando se ne va: “Il fuoco si spegne, ma la brace delle idee continuerà a scaldare il futuro.”
I funerali si terranno domani sabato 11 alle 15 alla Chiesa dei Cappuccini
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