Andare o non andare alle sagre? Dialogo con Michele Serra

Pubblicato in: TERZA PAGINA di Fabrizio Scarpato

di Fabrizio Scarpato

Mi sono montato la testa. Ho sognato di fare una chiacchierata con Michele Serra. La cosa potrebbe anche avere un senso, visto che Serra è una di quelle quattro, cinque persone che avrei voluto essere, che ammiro, insomma. Ci può stare di sognare, anche senza cene pesanti.

A dirla tutta non l’ho propriamente sognato: l’ho immaginato. In bicicletta: cioè, non lui, io, in bicicletta, voglio dire. Si perché io provo a pensare in bicicletta: a volte, non sempre, esce un pensiero compiuto, uno, non di più: all’incirca ogni trenta chilometri. Sono passista, anche un po’ lento, se vogliamo.

Con Michele (nell’immaginazione si può dare del tu e prendersi qualche confidenza) abbiamo parlato di sagre, quel fenomeno gastronomico che è proliferato a dismisura e che in questo periodo vive il massimo splendore.

F: Michele a cosa pensi sia dovuto il successo delle sagre?

M: Fàbri (ovvio che anche lui può prendersi confidenza) io credo invece che siano in crisi, crisi di abbondanza, da troppo successo che le moltiplica a dismisura: per orientarsi tra villaggi fumiganti e nubi di frittura che catturano il viandante anche a dieci chilometri, sarebbe opportuno darsi un minimo di criterio selettivo.

Selezione qualitativa?

Anche, ma principalmente direi selezione culturale. In una sagra doc, per evidenti ragioni identitarie e perfino etiche, il terroir dovrebbe fare la parte del leone, con i suoi corollari classici: filiera corta, tipicità di quello che si mangia, legame stretto tra stomaco e tradizione, tra metabolismo e cultura locale. Sarà ovvio diffidare, dunque, di una sagra della fonduta in Calabria, o di una sagra della vongola nel Bresciano, perché per quanto la globalizzazione mischi le carte e confonda i sapori, la sagra ha un suo senso se descrive (e circoscrive) un luogo e le sue tradizioni gastronomiche.

Quando sento parlare di terroir e filiera corta mi viene un leggero prurito: a proposito di sagre poi mi suona eccessivo.

Auspico, semplicemente auspico. Però non potrai negare come suonano stonate certe sagre del porcino costrette a rimediare la materia prima nell’Est europeo, o sagre della lumaca che integrano le dieci lumache faticosamente reperite in loco con qualche tir di lumache congelate.

Qui sulle lumache mi prendi in contropiede, perché dalle mie parti c’è una bella sagra della lumaca che tu credo conosca. E’ vero, dubito che le lumache vengano raccolte in loco, ma non vedo alternativa. Credo sia importante in primo luogo come vengono cucinate, visti i grandi numeri, e poi se il piatto riprende una tradizione. La Sagra da Lumaga della Serra di Lerici esiste da 43 anni.

Ci baderei poco, il rapporto tra tradizione e invenzione è molto studiato e molto discusso: ogni tradizione in fin dei conti ha un suo inventore, una sua arbitrarietà più o meno accertabile e accettabile. Scusa ma perché dovrei conoscere questa sagra?

Ho visto un cartello, poi ti spiego. In effetti non so perché, ma sembra che sulla costa orientale del Golfo della Spezia, sia tradizione mangiare lumache: non ho trovato nulla, a proposito di invenzioni, ma la cosa potrebbe risalire al periodo delle razzie turche, quando gli abitanti di Tellaro e Lerici si rifugiavano sul monte retrostante, nel paese scomparso di Barbazzano, fin sulle pendici verso Montemarcello e la Rocchetta. Forse trovavano lumache sulle ginestre, chissà.

L’intervistato sarei io, e comunque quanto ad inventare, sei un mago. Sempre meglio certo delle Sagre Celtiche o di improbabili raduni spesso invenzioni last minute di un assessore spregiudicato, o di una proloco invidiosa della sagra accanto.

Come dice la tua collega Licia Granello, una sagra non si nega a nessuno. Beh, quelle son le sagre da cortile, da campo di calcio, da parco dismesso: meglio evitare. Certo è curioso che, come sai, alla Serra convivono due sagre, quella storica del circolo Arci che si snoda su un versante del paese tra i caruggi, e quella della parrocchia sulla piazza della Chiesa. Peppone e Don Camillo. Sta di fatto che il paese è bello, e nei giorni della sagra ancora di più. Sarà questo il motivo di richiamo? Perché non è che si spenda pochissimo, a dire il vero…

Io il paese non lo conosco, anche se ti ostini a dire il contrario, però può essere, anche se è vero che ogni sagra gastronomica parte avvantaggiata da un pregiudizio favorevole quasi indiscriminato: perché è conviviale (si mangia insieme), perché è informale (si mangia anche con le mani), perché è liberatoria (si mangia molto e si mangia qualsiasi cosa)…

Ti interrompo, scusa: tutto questo visto dalla parte dell’avventore. Non credi che le sagre possano portare danno alle trattorie e ai ristoranti, come molti sostengono?

Non ho un pensiero preciso in proposito: insomma se si rispettano i criteri di cui s’è detto, se si rispettano le norme igieniche… beh io alla sagra vado volentieri. Basta che non sia fracassona.

Nel caso della Sagra da Lumaga, e spesso anche altrove, ci lavorano professionisti: oggi non so, ma fino a qualche anno fa erano gli stessi cuochi della trattoria del circolo Arci a cucinare, trattoria da Osterie d’Italia, a proposito di chiocciole. Succede spesso: può essere un volano per una località…

Mmmm… fermati qua che è meglio

A proposito di osterie: ecco, se la sagra è accogliente, se si adatta assecondando la bellezza di un luogo, potrebbe ricordare le osterie fuori porta. Pergolati, muri freschi, musica… Come hai detto, conviviale, informale e liberatoria. Mica si può sempre stare lì a gurmettare, no. Eppoi vuoi mettere andarci in moto al tramonto, con vista sul Golfo?

Importante è poter chiacchierare, senza rompimento di una musica spesso frastornante che poco ha a che vedere con “la tradizione”. Il chiacchiericcio mi piace. La voce del convivio è, da sempre, la voce umana. Non necessariamente garbata: comunque umana. Poi si balla e si canta, ma prima si mangia e si parla.

Ecco perché c’era quel cartello, proprio sopra l’orchesta: son d’accordo, assolutamente. Come saprai son ballerino formato alla balera La Perla di Cairo Montenotte, specialità mazurka. Non so se mi spiego.

Ehm… ora che ci penso io non la conosco e quello del cartello non sono io. La saluto, devo andare, comunque grazie è stato un piacere. E accetti un consiglio: cerchi di andare un po’ meno in bicicletta.

Michele Serra – Fonduta di vongole e altri inganni – La Domenica di Repubblica


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