Andrej Godina calmiamoci: torna a provare il caffè napoletano senza telecamere e cambierai idea

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

di Giustino Catalano

Partirei da due aforismi.

“Quello che è il cibo per un uomo è veleno per un altro” (Lucrezio) e “Il rimangiarmi le mie parole non mi ha mai causato l’indigestione” (Winston Churchill).

La scelta non è e non vuole esser casuale.

Il tutto parte dalle anticipazioni fatte dal Corriere della Sera sulla prossima puntata di Report dove un esperto di caffè triestino Andrej Godina, dopo un coffee tour, bolla Napoli come patria del caffè “pessimo”, giungendo, persino, a dare un sonoro 4 allo storico Caffè Gambrinus di Piazza Trieste e Trento, che lo scorso anno ha festeggiato i 12 milioni di caffè serviti dallo stesso barman.

Personalmente non sono un esperto di caffè anche se lo bevo. Fosse stato tè potevamo parlarne tranquillamente ma sul caffè non ho conoscenze approfondite come il dottor Godina. Pertanto mi son dovuto rifare ai miei 32 anni di degustazioni, ai miei trascorsi come uno dei primi Docenti dell’Ufficio Educazione del Gusto di Slow Food e alle centinaia di assaggi, anche bendato, cui mi sottopongo annualmente su varie tipologie di prodotti per tenermi allenato e conoscere a fondo gli stessi.

Una cosa è certa, non screditerò il dottor Godina sulla sua sensorialità, essendo questa un’esperienza (e giammai uno strumento) tutta esclusivamente personale, data da una serie di fattori cui la memoria olfattiva e la capacità gustativa ne sono solo e soltanto un minimo aspetto.

La degustazione, seria, attenta, approfondita è molto di più che prendere 7-8 caffè in giro per una città che ha decine di migliia di bar a casaccio per di più (ma questo dal pezzo non si comprende perché poco chiaro)  rivalutati in seconda battuta anche con lo zucchero…dottore, dottore…lasci fare la degustazione a chi la fa di professione.

Ciò che non mi è piaciuto dell’articolo del dottor Godina sono stati i toni di contorno rimarcati più volte sul nostro modo di esprimerci e parlare, la frettolosa conclusione dopo solo 7-8 caffè e il non aver studiato le usanze e le tradizioni del popolo che stava conoscendo, rifacendosi a degli “scampoli di libro” per trovare l’elemento utile a contestarne il fondamento. Peccato. Un’occasione persa per essere un professionista serio.

Per carità tutto giustificato dalla giovane età del degustatore itinerante ma davvero insopportabile quel “barrista” rimarcato così tante volte.

Io a Trieste ci sono stato. Alcuni anni fa, con una collega, per conto di Slow Food ho sviluppato un progetto per il Comune finanziato dalla Banca del Carso. Un progetto di 42 incontri nelle Scuole Materne cittadine. Trieste mi è piaciuta tanto e non poteva essere altrimenti. A me piace tutta l’Italia. La mia famiglia ha dato una giovane vita di 27 anni per unirla. Non potrei sputare su quel sacrificio.

Ricordo che una delle prime volte che sono entrato in un bar (lo splendido Caffè degli Specchi)  ho sentito riecheggiare alle mie spalle “un nero!”. Istintivamente mi son girato verso la porta d’ingresso per capire se fosse entrato un senegalese indesiderato suscitando, forse, l’indignazione di qualche leghista del posto. Ma nel mentre lo facevo dalla mia destra è partita un’altra voce. “Un capo”!

“Diamine! sono salito sull’autobus (n.d.r. così da noi si chiama il conducente) e non me ne son reso conto” mi sono ripetuto tra me e me.

Ma non ho fatto in tempo a comprendere se fossi desto o dormissi che si sono susseguite una serie di esclamazioni di vari avventori. “Un capo in B, un gocciato caldo, un nero in b, un capo in b tanta”. Mi sono fatto coraggio e ho chiesto al BarRista  a Trieste con una sola R mi raccomando!).

Mi ha spiegato a cosa corrispondesse ogni singola buffa sigla.

Le volte successive ho provato immenso piacere a fare anche io altrettanto. Mi sentivo scemo, ma era divertente.

Fondamentalmente è bello che siamo così diversi e abbiamo tutti qualcosa da insegnare agli altri. Meno bello è che evidenziamo ciò che per noi è strano come un difetto altrui. Se dicessi che il risotto di Davide Scabin fa schifo perché è all’onda (da ignorante della corretta terminologia dovrei dire “cremoso”) mentre è buono quello che si fa da noi dove i chicchi di riso “non si danno confidenza tra loro”, esprimerei un mio giudizio personale e, come tale insindacabile, ma finirei con l’offendere una tradizione e una cultura di un popolo.

Tranquillo Davide il tuo risotto mi piace da impazzire.

Forse il punto centrale del tutto è lì. Proprio lì. Lo scarso rispetto che si ha per il luogo nel quale si è ospiti.

Nel leggere qui e là nel web le indignazioni di tanti ho anche trovato giornalisti (..ma l’Ordine dei Giornalisti dà il tesserino proprio a tutti?) che presagivano l’offesa dei napoletani su tali affermazioni.

Certo! qualcuno  ha anche reagito male come in un’intervista di una Tv locale nella quale alla domanda “cosa ne pensa del fatto che un esperto di Trieste ha detto che il caffè a Napoli fa schifo?” un giovane baldanzoso ha risposto secco “ca è na granda lota!” (trad. che è una grande chiavica!)..opinioni….per amor di Dio, solo opinioni.

La verità è che bastava leggere con attenzione il pezzo del dottor Godina per comprendere che si era in presenza di una gita tra amici e non di una degustazione professionale svolta con bar a casaccio su un tracciato di poco più di 2 km.

Spiegherò questa affermazione con un esempio. Se voglio assaggiare un vino di una data zona sarà necessario che prima conosca bene i luoghi e le tradizioni di quell’area, poi l’orografia e il terroir, poi l’azienda e poi infine il prodotto.

Nel caso del caffè il dottor Godina salta dei passi e non ne specifica altri, probabilmente nella fretta di percorrere il suo sintetico tour.

E non mi soffermo sulla pubblicità fatta ai due bar fiorentini in premessa dopo aver tessuto le proprie lodi. Meglio lasciar correre.

Per meglio capire ho telefonato a dei miei amici torrefattori.

La Torrefazione in questione è una piccola realtà artigianale di Bacoli (NA), in Campania, ed è tra le poche in Italia ad adoperare ancora oggi la tostatura a legna, con una macchina tostatrice di circa 50 anni, adeguata alle vigenti normative con delle piccole modifiche. Scelgo la piccola torrefazione perché so che l’artigiano ha maggior consapevolezza delle problematiche che possono ingenerarsi sul prodotto e poi perché chi fa ne sa molto di più di chi parla soltanto.

La Caffè Delizia (www.caffedelizia.eu ) è oggi condotta da Nicola Scamardella e Chiara Turturiello. Nicola, grandissimo torrefattore e grande competente di caffè, guida l’azienda da 15 anni, da quando è mancato il padre Pasquale, fondatore della stessa 51 anni fa circa.

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Questa la conversazione

Ciao Nicola volevo che mi spiegassi se il caffè va fatto come si fa a nord o come si fa a sud. Mi fai capire?

Giustino che domande! L’Italia è così lunga che è impossibile rispondere a questa domanda. Ci sono differenti modi di preparare il caffè tra nord e sud. Partendo dalla varietà di caffè, ad esempio, al nord preferiscono miscele di arabica 100%, che è una varietà meno forte e molto più morbida e gentile al gusto. Da noi non è molto gradita. Noi preferiamo la robusta pura o le miscele tra queste due grandi famiglie.
Poi anche nell’ambito della varietà robusta vi sono differenti qualità e provenienze e ciascuna di esse richiede una tostatura differente.
Anche nella tostatura ci sono delle differenze evidentissime.
Al sud, ed in particolare a Napoli ci piace più spinta, che dia un senso quasi di bruciacchiato.
Al nord cercano di mantenersi al di sotto di alcuni parametri.

Spiegati meglio. Quali parametri?
Nella tostatura del caffè verde si ha una perdita di peso di circa il 20% del prodotto iniziale. Al sud tendiamo a stare il più vicino possibile a quel 20% mentre al nord si cerca di mantenersi su un 18% e forse, a giudicare da alcuni assaggi, ma non ne ho certezza, si va anche un po’ al di sotto del 18%.

E questa percentuale cosa comporta?
Un’infinità di cose sotto il profilo gustativo. A noi partenopei il caffè piace con la miscela a prevalenza robusta, torrefatto in maniera “spinta” al punto tale che ha una schiuma più scura e quando lo beviamo il caffè ci dia un “punch”, una sorta di pugno, e in tazza bollente. Ci piace così. Già da Roma a salire questa modalità di beva e la tazza bollente sono intollerabili. Da loro il caffè ha note più gentili e la tazza è a temperatura ambiente. Lì piace così e la Illy ne ha fatto una regola generale. Ma vale solo al nord e per chi ha quei gusti. Tutto rispettabile.
Un po’ come la pizza che da noi deve potersi piegare a libretto e al nord deve essere sottile e croccante.

Lasciamo perdere la pizza che non è aria….piuttosto dimmi secondo te come è la qualità del caffè a Napoli.

Devo dire che lo possiamo considerare a macchia di leopardo. In alcuni posti si beve un eccellente caffè e in altri è scadente. Le ragioni sono molteplici. Tanto per cominciare a Napoli, dove si producono le macchine da caffè migliori al mondo, si ha il mito di macchine del nord, come ad esempio la San Marco. Queste sono macchine che richiedono una notevole perizia del barista. Se la miscela non è delle migliori, se la tostatura non è fatta bene e se il barista non ha grande perizia può tranquillamente accadere che si beva una vera schifezza.

Ti risulta che ci sia l’usanza di dare del danaro da parte del produttore per “adottare” il suo caffè?

E’ un vecchio mito ormai scomparso con la crisi che ci avvinghia. Sono anni ormai che le case produttrici di caffè non danno più danaro. I più fortunati ricevono una macchina in comodato.

Ti faccio le ultime due domande. Sei a conoscenza dell’articolo del dott. Godina di Trieste sul caffè a Napoli?..e secondo te quanto ne sa un tassista di caffè e contratti tra torrefazioni e bar?

No. Non ne so assolutamente nulla. Dove lo leggo quest’articolo? Un tassista? (sonora risata) e che ne deve sapere? lo beve!

Grazie Nicola.
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Questo il parere di Scamardella, operatore del settore. Del resto da questa posizione non si era spostato più di tanto nemmeno Gianni Frasi del Caffè Giamaica di Verona, azienda alternativa nella produzione veneta di caffè.

Sua una bellissima frase a proposito del modo di intendere il caffè in un’intervista concessa anni fa a Stefano Lorenzetto su Buffet: “Tutti sanno tutto. Viviamo nel regno dell’opinione che è il letame della conoscenza. Hanno ragione tutti perché nessuno sa niente. E’ la lebbra del terzo millennio. L’opinione”.

E che sia così è la pura realtà visto che a fondo dell’articolo del dottor Godina l’ultimo commento postato è del sito americano Espresso News and Rewievs che dopo aver riportato le conclusioni cui giunge il “coffee-turista”  triestino ed aver sottolineato di esser stato a Napoli votando anche un caffè 8,2, dice testualmente: “Difendiamo la nostra valutazione che l’espresso bevuto Napoli, nella maggior parte dei casi, batte i tipici standard di qualità di riferimento di qualsiasi altra città del mondo in cui siamo stati (e siamo stati in tante). Ma, come l’articolo di Mr. Godina dimostra, le opinioni sono varie”.

Un consiglio al dott. Andrej Godina. Ritorni che ne abbiamo piacere. Ma prima di tornare studi.

Uno a Milena Gabanelli. A me Report piace tanto. L’unica cosa che non piace è quando si devono fare rettifiche e scuse. Mi fa capire che si è lavorato con il culo.

Uno a chi pensa che abbiamo creduto che ce l’avete con noi. Mai pensato…lo sappiamo che il sud vi piace. Ci venite a fare sempre le vacanze!

Un suggerimento agli altri programmi televisivi. Abbiamo ancora disponibili il limoncello, la parmigiana di melanzane, il casatiello e il migliaccio. E la pasta. Affrettatevi, però, perchè pochi giorni fa Melegatti ha già occupato la pastiera e temiamo che stia pensando con interesse al sanguinaccio.


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