Bob Noto – un libro sul precursore e ideologo del food design che “forse” oggi sarebbe a disagio

Pubblicato in: I libri da mangiare
Bob Noto - copertina

di Giulia Gavagnin

Nome e cognome, bianco su nero. “Bob Noto” è il volume pubblicato da Maretti che giace sulla mia scrivania da due mesi, in attesa di recensione “anche piccola piccola”, così dissi all’editore. Potevo farlo subito, scrivendo le solite cose, sospese tra ovvietà e facezie.

“Maretti pubblica l’atteso volume fotografico su Bob Noto, fortissimamente voluto dalla moglie Antonella e  dall’editore stesso. Il genio della fotografia gastronomica che ha reso instagrammabili i piatti prima dell’avvento di Instagram (sic), influenzato ideologicamente Ferran Adrià nonché gli Alajmo, Cedroni, Scabin, Lopriore, Crippa è ricordato attraverso le  vivide immagini di una mostra tenutasi a Castelfranco Veneto nel 2009, in cui la metafisica e la scomposizione del piatto si rende oggetto di food-design, fino a diventare arte.

Questa è stata la rivoluzione di Bob Noto: testimoniare attraverso le fotografie e le idee che a loro volta diventano immagini la tensione dell’alta cucina tra artigianato e arte. Prefazione affidata a Ferran Adrià che ricorda il primo incontro avvenuto nel 1993, testi di Marco Bolasco ed Eleonora Cozzella che raccontano il Bob Noto-pensiero attraverso il viaggio, nella Spagna della secessione culinaria nascente e la Danimarca della controrivoluzione. La postfazione di Giuseppe Lavazza e le testimonianze scritte dai noti chef ne hanno riconosciuto la primaria influenza”.

M’era preso un certo nichilismo nell’esaminarlo e non avevo scritto nulla fino ad ora. Roberto “Bob” Noto è stato uno storico della gastronomia, filosofo e ideologo della cucina, nonchè fotografo torinese, per chi non lo sapesse. E’ vero, ha reso “instagrammabili” i piatti di alcuni grandi chef molto prima di Instagram (ovvove!), ha cristallizzato in immagini l’essenza del piatto quando la cucina creativa era un continuo, inafferrabile divenire e, soprattutto, senza di lui –forse- Ferran Adrià sarebbe stato un diverso Ferran Adrià. E senza quel Ferran Adrià non ci sarebbero stati gli Alajmo, i Cedroni, gli Uliassi, i Crippa come li abbiamo conosciuti ieri e oggi.

La sensazione che ho, è che la scomparsa di Bob Noto rappresenti uno spartiacque temporale per la cucina italiana, e forse europea, più di quanto possiamo immaginare. Non solo perché lui era obiettivamente influente. Bensì, perché in soli sei-sette anni il mondo è cambiato in una misura che forse nemmeno lui l’avrebbe riconosciuto.

Friedrich Nietzsche è scomparso nel 1900, di questa circostanza s’è spesso scritto che non era un caso, che, infatti, è stato l’ultimo filosofo ottocentesco e con la sua morte s’è aperta un’altra èra di pensiero. Ora, Bob Noto scompare nel 2017 che non è data così segnante, ma già molta della “sua” epoca s’era conclusa.  Se n’era già andato il suo sodale Stefano Bonilli che è stato l’iniziatore della critica gastronomica italiana contemporanea che oggi non ha eredi; la rivoluzione spagnola era ormai compiuta con El Bulli chiuso da sei anni e destinato a fondazione, e Adrià impegnato a fare il Diderot della cucina con l’ambizioso progetto dell’Enciclopedia, a tutt’oggi (mi risulta) fermo al primo volume sul caffè finanziato da Lavazza (non a caso, azienda torinese che con Noto aveva ottimi rapporti). Degli chef menzionati nella parte testuale del volume – alcuni che gli hanno dedicato un apposito ricordo- alcuni non sono più in attività, altri hanno mutato pelle, in senso quasi antirivoluzionario, ma la rivoluzione mica può durare per sempre così come non può sempre piovere.

Max Alajmo è ormai classicista di se stesso e con l’imprenditore-fratello Raffaele, a capo del secondo impero gastronomico italiano. Davide Scabin dopo la fine dell’era Combal.0 amministra una cucina classico-sabauda di grande pregio e guizzi propri dell’uomo talentuoso ma di scarso interesse collettivo, che nulla può a confronto del periodo d’oro che l’ha visto protagonista insieme al suo ideologo. Massimo Bottura è diventato il Papa della cucina italiana con il suo glocalismo ecumenico, ma l’esperienza da lui è nel percorso, non più nel piatto singolo. Carlo Cracco ha smesso di essere decisivo da tempo. Tra tutti i seguaci di Bob Noto, quello che continua a essere a suo modo eruttivo è Moreno Cedroni, che in questo è ancora il più “Ferranadrianesco” di tutti, con sperimentazioni sulle consistenze (vedi le maturazioni nel “Tunnel”) e un mai sopito istinto ludico (per capirci, Cedroni non è mai “pesante”, continua a essere “pensante”).

La diversità delle immagini di Bob Noto, prese in via istantanea con la macchina fotografica all’uscita di ogni piatto e quindi mai studiate, testimoniano il momento e la progressione del piatto stesso, le fasi di composizione, scomposizione e prodotto finale (vd. tra tanti il risotto oro e zafferano di Marchesi) di cui in qualche modo ci dà chiave di lettura Marco Bolasco nella parte testuale, quando racconta del viaggio in Spagna che fece con Noto da giovane giornalista. Percorso rigorosamente in auto per fare tappe, il “sentiero delle tapas” che non a casa costituivano la versione “grezza” del percorso serale che magari terminava proprio da Adrià. Perché nell’inizio c’è anche la fine. Così, la progressione delle immagini è anche scomposizione metafisica del piatto come opera d’arte, parte da tre elementi e ne aggiunge strada facendo altri tre arrivando alla quadratura del cerchio.

Non solo. Nella ripetizione delle immagini c’è l’ovvio richiamo alla serialità di Warhol, che ovviamente culmina nella famosa lattina del risotto al pomodoro che ideò per i fratelli Costardi. Chissà come sarebbe seriale oggi Bob Noto nel ripetere al millimetro tutti quegli oggetti edibili instagrammabili o tiktokesti che vanno di moda oggi, tra panini suppostamente deluxe, croissant cubiche, stucchevoli carbocreme che rappresentano la fase post industriale della cucina, del tutto diversa da quella artigianale/artistica che ha vissuto in prima persona.

Bob Noto oggi sarebbe stato testimone forse annoiato della crisi di un’alta cucina che ha perduto –per ragioni sia ideologiche che economiche- la vocazione all’alto artigianato e all’unicità della proposta per farsi seriale, copycat di uno standard esistente che –quantomeno in Italia- rischia poco o nulla. Questa, pertanto, diventa terreno fertile per lo storytelling reso da incompetenti che comunicano senza alcun senso critico, abbassando (per non dire di peggio) il livello sia della comunicazione che della cucina stessa, vendendo la solita apparenza priva di sostanza.

Era ancora vivo Noto quando Fulvio Pierangelini rese il suo memorabile discorso al Mad di Copenaghen nel quale affermò che ormai la cucina era una mera rappresentazione teatral/televisiva e i cuochi spinzettatori di piatti tutti uguali da Vienna a Melbourne. Chissà se ha lasciato qualcosa di scritto sul punto. Oggi sarebbe interessante saperlo.

 

Bob Noto

Maretti editore

Pag. 192


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