Campoceraso 2000 Taurasi riserva docg

Pubblicato in: Avellino

STRUZZIERO

Uva: aglianico
Fascia di prezzo: da 10 a 15 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno

Finalmente ho trovato un 2000 elastico, starei per dire addirittura dinamico. Il vino, cioè, cammina in bocca ed è cangiante al naso.
Un Taurasi classico, nato dai possedimenti di famiglia nella zona di Venticano e Torre Le Nocelle, lì dove il cuore dell’Irpinia inizia a distendersi verso la Baronia e dunque per la Puglia e il Sannio, gli spazi si aprono e le curve diventano meno nervose trasformandosi in lunghi rettilinei. Su uno di questi pianori c’è la vigna storica da cui prende il nome la Riserva, meno di diecimila bottiglie l’anno.
L’incontro con questo vino non è mai facile, soprattutto quando, come nella 2001, a nostro parere ha un po’ deviato dalle sue consuetudini muovendosi in direzione della concentrazione. Sempre fatale all’Aglianico come l’influenza portata dagli spagnoli per i poveri indigeni del Sudamerica.
Di questa annata calda, quando l’ho aperto mi aspettavo il solito mattone, cioccolato modernista o tabacco spiritato tradizionale, resta invece regina l’acidità, a cominciare dalla volatile che inizialmente copre l’olfatto per poi lasciare spazio alla cenere e, finalmente, alla frutta rossa sotto spirito.
Avrete dunque capito che il signorino è un po’ ostico, ma vivaddio, ha carattere, un tono di tipicità, meglio dire riconoscibilità, che gli viene regalato anzitutto da una vinificazione senza concentratore, il colore infatti è granato penetrabile e vivo, con uno sforzo potremmo persino ammirare estasiati la mitica unghia aranciata di cui ormai non vi è più traccia nell’Aglianico se non nel Re Manfredi 1999 di Terra degli Svevi e nel Vigna Caselle di D’Angelo.
Questo Taurasi è completamente nelle mie corde. Mi piace leggere che abbia fatto tre anni in botte grande, ormai è l’unica cosa chic che si può chiedere a un rosso. Pensate, 36 mesi fermo, senza rimontaggi, in ampie botti esauste il cui unico benefit può essere il rischio ossidazione della materia.
Mario è enologo, la tecnica è appresa in famiglia, le uve di questa zona sono leggermente meno acide di quelle di Montemarano, Castelfranci e Paternopoli, per certi versi ricordano il Taburno, tra l’altro molto più vicino di Avellino.
Ed è proprio la riserva del Taburno made in Angelo Pizzi, 6000 lire la bottiglia nel 1992, a cui va il mio pensiero, oltre che al rosso che faceva Alessandro Caggiano, la cui azienda è stata venduta.
Rossi simili in zona, molto buoni ma da aspettare, li fa Raffaele Inglese, enologo taurasino, suo l’Antico Borgo.
Sembra incredibile che questo stile sia sopravvissuto agli anni ’90, un po’ come i vini di Venditti hanno resistito senza legno nell’epoca in cui qualsiasi azienda prima di nascere comprava la barrique e poi il vigneto. E’ come se qualche politico oggi si dichiarasse ancora di scuola marxista dopo lo tsunami liberista che ha portato alla crisi economica.
Parlavamo dell’acidità. L’attacco è duro, urge pecorino carmasciano a sostegno, poi la freschezza prevale con autorevolezza e si sparge sulla lingua intiera rimbalzando sul palato e poi infine sui corridoi laterali. Così facendo fa strada alla frutta bella fresca, prugne tenute a bassa temperatura nell’acqua corrente, infine un po’ di tabacco e rimandi di sottobosco.
Il vino si beve, la bottiglia finisce rapidamente, come accade con il Ripe del Falco, non c’è un piatto del buon Pino che non sarebbe onorato da un simile accompagnamento.
Un vino davvero tradizionale dunque, verace antropologicamente, come la trattoria che ho citato. Espressione cioè di una coerenza produttiva che magari ha la pecca di non essere stilisticamente aggiornata ma neanche la colpa, ben più imperdonabile, di essere fintamente aggiornata.

Sede a Venticano, via Cadorna 214. Tel e fax 0825.965065. www.struzziero.it Enologo: Mario Struzziero, ettari: 14 di proprietà. Bottiglie prodotte: 500.000. Vitigni: aglianico, greco di Tufo, coda di volpe, fiano, falanghina.


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