Pino Cuttaia, da operaio emigrante a Torino a chef bistellato a Licata: giovani la stagionalità è cultura

Pubblicato in: I vini da non perdere
Pino Cuttaia

di Luciano Pignataro
Due stelle Michelina Licata. Chi lo avrebbe mai detto? Eppure è il grande risultato che Pino Cuttaia, 51 anni, ha centrato dimostrando come la gastronomia di qualità sia ormai un valore universale a prescindere dal luogo geografico in cui si è scelto di realizzarla.
Estate, Sicilia. Pino quali sono i tuoi ricordi da bambino?
«Ricordo la granita a colazione, mettevi i soldini nel bicchiere con la misura. Per dimostrare che mi voleva bene il sorbettiere faceva la montagnella nel bicchiere cos’ si iniziava dalla punta in alto. E pi l’altro rito, quello del gelato a metà pomeriggio, quando il sole inizia a calare. Dovevo aspettare mio zio che mi ci portava».
Una infanzia che tu hai vissuto da solo
“Si, a Licata. Mio padre Angelo e mia madre Carmela era entrambi emigranti in Germania. Per cui ho fatto elementari e medie giu. Poi nel 1980, dopo la scomparsa di mio padre, mia madre andò a vivere con i suoi genitori in Piemonte, anche loro erano emigranti e io la raggiunsi. Ricordo quel mio primo viaggio come di qualcosa che non finiva mai. Aspetta…»
Cosa
«L’estate era bella perché i paesi si ripopolavano, tutti gli emigranti tornavano, la festa del Santo Patrono che cadeva in maggio si ripeteva proprio per loro che venivano a trascorrere le ferie nei luoghi di origine. Oggi la seconda generazione non ha più le stesse abitudini. E, sempre d’estate, ricordo la pasta al forno e le cotolette in spiaggia, che poi dovevi stare due ore prima di rifarti il bagno in mare. E dunque si ingannava quel tempo che non finiva mai giocando a bocce sulla sabbia. E poi ancora l’anguria, il vero simbolo dell’estate, con il rosso intenso, un sorbetto naturale».

Come è iniziata la tua carriera da cuoco ?
«Forse è meglio dire la prima volta che entrai in una cucina, la sera del Capodanno 1981 quando un amico mio mi chiese di lavare i piatti e io accettai barattando il mio servizio con un un po’ di Champagne»
Però tu lavoravi in  fabbrica.
«Ho iniziato presto perché lavorare era una necessità, poi pensai che non era il mio futuro nonostante l’opposizione di mia madre che pensava al posto fisso come un traguardo. Iniziai a lavorare come lavapiatti, poi passai a fare pratica nelle pizzerie e infine approdai a locali importanti come il Sorriso di Soriso o al Patio di Pollone, in provincia di Biella».
Poi nel 2000 la scelta radicale di tornare a Licata e di aprire la madia. Come mai?
«Il nostro è un mestiere di libertà. La cucina è comunicare se stesso attraverso quello che uno vuole raccontare, un mestiere di energia, oggi è sicuramente più facile da capire. Io volevo farlo da casa. Casa è quel posto dove tu torni subito se ti senti male, anche se è meno bello di tanti altri. Certo la spinta a tornare è stata mia moglie Loredana, ma il concetto di casa è importante per noi italiani. E’ dove ti senti protetto anche se devi combattere ogni giorno, dove stai bene a prescindere, dove non ti viene mai l’idea di ripartire».
Questo è stato possibile anche perché il tuo mestiere è cambiato profondamente.
«Certo. Il cuoco oggi ha una figura sociale, fa cultura, è la sintesi di tanti mestieri che vengono messi a disposizione del cliente. Il nostro lavoro è dare voce al piccolo produttore non solo di cibo, ma anche al falegname, al fabbro, al pittore».
Due Stelle Michelin, ti hanno cambiato?
«Mi hanno aiutato ma non mi hanno cambiato. Quello che è mutato è stato soprattutto l’atteggiamento degli altri verso di me. Io continuo a cucinare come se facessi da mangiare al mio vicino di casa. Il mio punto di forza sono loro i clienti e non è retorica. Vedi, questo concetto ho l’impressione che qualche giovane lo stia perdendo di vista, il fine ultimo del nostro lavoro è la felicità del cliente, la nostra capacità di trasmettere qualcosa di autentico».
Tu come riesci a farlo?
«Chiedendomi sempre il perché. Tante usanze, tanti piatti, nascono dalla necessità. Ti racconto questo: nel periodo dei defunti mia nonna vegliava la tomba di mio padre per tre giorni interi per ricevere gli amici e i parenti. Non solo non mangiava ma non beveva. Io pensavo fosse una forma di rispetto, ma la spiegazione me la diede mia cognata: se beve deve poi andare in bagno e si deve dunque allontanare. Ecco come una cessità diventa cultura. Tanti piatti nascono dal baratto, dall’incontro tra pescatori e contadini»
La vostra generazione, intendo i cinquantenni, che oggi domina la scena, ha avuto anche un po’ la fuinzione di custodi della memoria.
«È così, perché noi tutti ricordiamo i principi della civiltà rurale su cui si è sempre poggiata l’Italia. Per esempio la stagionalità è cultura, se ci rinunciamo non ci sarà più niente».
E il futuro?
«Credo sia nella perfetta integrazione tra prodotti e salute. Oggi il cuoco moderno è quello che fa riflettere sula necessità di rispettare la natura, i suoi tempi».

 

Più box
Pino Cuttaia nasce nel 1967 a Licata dove ha vissuto la sua adolescenza. Dopo essere stato in Piemonte nel 200 sceglie di aprire con la moglie Loredana La Madia in corso Luciano Pignataro
Due stelle Michelina Licata. Chi lo avrebbe mai detto? Eppure è il grande risultato che Pino Cuttaia, 51 anni, ha centrato dimostrando come la gastronomia di qualità sia ormai un valore universale a prescindere dal luogogeografico in cui si è scelto di realizzarla.


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