Christian Puglisi, Relae a Copenhagen: “Ecco come e perché apro la mia pizzeria”

Pubblicato in: La Pizza e basta

Dopo aver mangiato uno dei migliori polli della mia vita nel suo Relae a Copenhagen ritrovo il giovane Christan Puglisi, papà siciliano e mamma danese, da 50Kalò di Ciro Salvo grazie ai buoni uffici di Maurizio Cortese, spacciatore a Napoli di personaggi gastronomici di qualità.
E’ accompagnato da una star televisiva americano, il panificatore Chad Robertson e dal suo futuro pizzaiolo.

Già, avete capito bene. Christian ci aveva parlato del progetto di aprire una pizzeria, che a Copenhagen fanno mediamente schifo come nelle media italiana perché senza tradizione e soprattutto perché ferite da una visione di basso profilo commerciale.

Ha deciso di venire allora a Napoli dopo essere passato da Bonci a Roma per provare la pizza di Franco Pepe, quella di Ciro Salvo, e poi per visitare i caseifici di Mimmo del Casolare ad Alvignano e di Gennaro a Vico Equense.

“La pizza è un cibo importante, moderno. Permette di arrivare a ogni tipo di pubblico. Certo va fatta in un certo modo. Naturalmente io non farò una pizza napoletana, ma glio esprimere me stesso e i prodotti danesi attraverso la pizza, proprio come succede qui a Napoli dove si esalta al massimo per capire come va. Avrei potuto fare una iniziativa commerciale anche perché da noi c’è pochissimo, invece è necessario impostare questa proposta in modo nuovo”

Come sarà questa pizzeria?
“E’ a 700 metri dal locale. Faremo otto pizze. Quattro fisse, due stagionali e due giornaliere a seconda di quello che troviamo nel mercato. Sarà una pizzeria ma non solo perché lo spicchio sarà uno dei piatti che arrivano in un menu easy e ovviamenete tutto biologico. Noi forse siamo l’unico stellato al mondo interamente certificato biologico”

Qual è la differenza?
“Quella che passa da usare prodotti biologici in tutta la proposta o usare  anche prodotti biologici”.

Hai da poco superato la trentina ma come tutti i cuochi di tua generazione hai un curriculum impressionante. Taillevant, El Bulli, poi sous Chef al Noma. Cosa ti ha insegnato Redezepi?
“Renè mi ha dato tantissimo. Tutti mi hanno insegnato qualcosa sulla tecnica, ma al Noma ho imparato la filosofia dell’alleggerimento della materia, della essenzialità nella proposta. E soprattutto credo che abbia cretao un nuovo rapporto tra cucina e sala con i cuochi che invece di stare chiusi hai fornelli escono direttamente a portare i piatti ai clienti”.

Mi sovviene che la cucina a vista è stata inventata a Napoli nelle pizzerie. Da due secoli i pizzajuoli sono abituati a lavorare davanti al cliente e questo ha regalato loro un innato senso scenico nella gestualità e nel rapporto.
“Verissimo. Ormai è cambiato il modo di andare al ristorante. Prima si andava per farsi vedere, era uno stile ingessato e borghese, adesso si va per vedere e per provare.”

Dici di voler fare la tua pizza. Cosa significa?
“Ripetere quello che ho già fatto. Quando ho lasciato il Noma non ho ripetute le cose che facevo lì, non avrebbe avuto senso. Ho cercato uno stile mio di cucina stando ben attendo a non scadere nell stereotipoo del ristorante italiano. Per me è importante avere materia prima di territorio, sana e di grande qualità e proporla attraverso la mia sensibilità. Così anche con la pizza: quella napoletana vengono a mangiarla a Napoli o nelle pizzerie certificate napoletane che sono al mondo. Io voglio offrire una proposta personale che sia in linea con la mia cucina “.

 

Il forno però sarà napoletano?
“Sì, lo sta costruendo Stefano Ferarra”

 


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