Come può un Greco di Tufo costare meno dell’acqua minerale al supermercato?

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

 

Greco di Tufo sottocosto

Ho un affare da suggerire ai neopauperisti che hanno straparlato di prezzi alti per i panettoni artigianati: ecco delle bottiglie di Greco di Tufo a 1,19 euro, meno di una bottiglia di acqua minerale!

La domanda è come può una docg andare sotto costo di produzione? Chi ha postato questa foto ha tirato in ballo il Consorzio di Tutela, al punto da spingere il presidente Stefano Di Marzo a replicare: non è competenza nostra calmierare i prezzi.
In effeti il tema riguarda anche altri vini, per esempio il Chianti docg venduto a 3,25 euro.

La Coldiretti entra in campo con le dichiarazioni del suo direttore regionale Salvatore Loffreda che si chiede a chi giova vendere una bottiglia di vino a un prezzo che ripaga a stento vetro, tappo e fascetta.

“È inaccettabile che Fiano e Greco, che alla pari della mozzarella di bufala e del pomodoro San Marzano, sono gli ambasciatori del made in Campania siano oggetto di una tale speculazione. L’operazione di sottocosto, un supersconto dell’80%, nasce da una scelta di relazioni commerciali tra un’azienda vitivinicola irpina con la GDO per la produzione di una “private label”. La giacenza di magazzino e operazioni di acquisizioni aziendali hanno spinto alla vendita promozionale ad un prezzo che è fuori dal mercato dei vini a marchio. Queste iniziative commerciali aggressive  sono uno schiaffo al lavoro di investimenti che il sistema vitivinicolo irpino porta avanti da anni. Ricordo che sotto l’egida del Consorzio di Tutela operano oltre 550 cantine avellinesi, che con grande fatica hanno conquistato una credibilità sul mercato nazionale ed internazionale. Chi pensa solo al proprio tornaconto, senza badare alle distorsioni che genera, causa un danno a tutto il mondo del vino d’Irpinia. Per raschiare il barile in condizioni di forza, determinate dall’emergenza covid, c’è chi avvelena i pozzi del mercato. Non è accettabile, soprattutto in questo anno difficile che si sta chiudendo. La grande distribuzione non ha avuto un solo giorno di chiusura e sappiamo, da ricerche del centro studi Coldiretti, che ha registrato incrementi di vendite del vino del 7%, grazie alla chiusura del canale ristorazione. Pertanto, faccio un appello al senso di responsabilità della GDO affinché si abbia la consapevolezza che il guadagno veloce di oggi scava la fossa al mercato del vino di domani”.

Loffreda ha ragione, ma punta il dito solo sull’ultimo che ha accoltellato la docg, mentre i responsabili di questa situazione sono tutti, proprio come nel romanzo di Agata Christi in Assassinio sull’Oriente Express di Agatha Christie.

Si, è il meccanismo infernale della Gdo, o di parte della Gdo perchè dobbiamo dire che le cose stanno cambiando in quelle che hanno manager capaci di guardare oltre e capire che che di prezzi bassi ferisce di prezzi bassi può perire per mano di Amazon.
Ma domandiamoci: potrebbe mai avvenire una cosa del genere con alcuni vini consolidati nell’immaginario collettivo?

Questa Waterloo che segna stasera il punto più basso mai toccato dal vino irpino da almeno trent’anni ha delle ragioni profonde di cui abbiamo più volte parlato. La prima è che fra le 200 e passa aziende vitivinicole che etichettano della provincia solo una cinquantina, a dire molto, si reggono con il reddito agricolo che producono. Il resto sono o investimenti di persone che vengono da altri settori o semplice attitivtà da doppio lavoro di insegnanti, pensionati, professionisti. Questo comporta magari una conoscenza profonda del vino ma assolutamente inadeguata del mercato.

Il secondo punto di debolezza è stato il gravissimo ritardo con cui il mondo del vino si è organizzato in un Consorzio realmente funzionante perdendo per intero la grande cavalcata degli anni ’90 e la ripresa dopo la crisi scaturita dall’attacco alle Torrri Gemelle. Rispetto alla vicina realtà sannita, il mondo irpino appare ancora oggi frammentato e diviso in fratture che invecedi ricomporsi si tramando di generazione in generazione e questo accade proprio perchè il reddito viticinicolo reale complessivoè ben al di sotto della reputazione dei suoi vini.

Il terzo punto che ha portato alla situazione di stasera è stata l’incapacità del sistema vitinicolo irpino di capire l’importanza di creare cru e vendere vecchie annate anche dei bianchi, cosa che accade solo con il Taurasi ma perchè il rosso strutturato ha ormai croniche difficoltà di posizionamento sul mercato per via dei competitor nazionali (Brunello, Barolo, Barbaresco, Amarone, Primitivo, Nero d’Avola) e regionali (Sagrantino, Cesanese, Negroamaro, Nero di Troia, Gaglioppo, Nerello Mascalese, Cannonau) mentre i bianchi (Fiano e Greco) sono sicuramente al top in scarsa compagnia: verdicchio e vermentino.

Ma questa percezione di qualità non travalica, purtroppo, la ristretta, per quanto ampliata, cerchia di appassionati mentre nella percezione del senso comune si tratta ancora di poco più che di una commodity.

E’ vero che il vino attraversa una crisi eccezionale mai conosciuta dai tempi della fillossera (che favorì proprio le produzioni del Sud), ma è anche vero che si è arrivati tardi ad una promozione efficace e condivisa, tardi alla promozione dell’ e-commerce (tranne le dovute eccezioni beninteso), tardi nell’articolazione dei propri canali di vendita, nel saper distinguere il mercato degli stellati, per esempio, da quello dei salumieri.

Insomma il paradosso del vino irpino è che la l’autocoscienza di se del sistema enologico nel suo complesso è molto al di sotto della grande (iccomensurabile per il Fiano) qualità dei vini.
Insomma, un po’ come l’oro per gli indigeni che lo davano ai conquistatores.
Questa vendita somiglia insomma alla precipotosa vendita che il popolo bue fa quando vede le proprie azioni crollare, senza sapere che proprio questo panico consente di guadagnare a chi conosce il mercato.

Qualcuno ottuso ha rotto (e rompe) i coglioni sul fatto che i vini di Moio costavano troppo (un po’ la stessa storia del panettone artigianale), ma cosa pensate sia meglio per l’agricoltura di precisione? Un Giallo d’Arles a 32 euro o un Greco a 1,19?

Immagino invece questo vino ritappato in magnum e rivenduto come riserva fra due anni.
Ma chi ha la forza economica di resistere e di aspettare?
Soprattutto, ed è questa la domanda pià amara con cui vi lascio, chi ha la cultura di resistere e aspettare?

 


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