“Lunedì non riapro, con quelle linee guida è impossibile. Sono condizioni demenziali scritte da gente senza idee e se resteranno così, non si riapre né lunedì né mai più”. E’ arrabbiato Arrigo Cipriani, patron dell’Harry’s Bar di Venezia, lo storico locale a due passi da piazza San Marco fondato 89 anni fa dal padre e mai chiuso tranne una parentesi nel ’43. “Allora fu requisito dai repubblichini. Adesso sta per essere chiuso dalle menti sublimi dell’Inail”, tuona il gestore che contesta gran parte delle linee guida previste per la riapertura dei locali dal 18 maggio. Il locale è chiuso dall’inizio di marzo per l’emergenza sanitaria.
Con un bar e ristorante definito “monumento nazionale” dal ministero, meta di artisti come Charlie Chaplin, Arturo Toscanini e Ernest Hemingway, conta 27 ‘filiali’ nel mondo. Arrigo Cipriani se la prende con le norme “decadenti che neanche nel Medioevo..” e fa qualche esempio: “Ci dovrebbero essere 4 metri quadrati attorno ai commensali e dovrò chiedergli l’autocertificazione, per sapere in che rapporti sono tra loro. E’ pazzesco. Sulla prenotazione, scrivono che è ‘preferibilmente obbligatoria’, ma o è un obbligo o no?”. Di speranze ne ha poche: “Purtroppo temo che non verrà nessuno, il mondo si è fermato”. Il Cipriani ha due sale di 40 mq l’una e normalmente ci stavano 90 persone. “Non ho contato quante dovrebbero starcene ora, ma so che dovrei licenziare almeno 50 dipendenti (sui 75 attuali) se volessi aprire così. Io ho 88 anni, posso anche andare in pensione a questo punto”.
Arrigo Cipriani chiude per sempre
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