
di Giulia Gavagnin
Visionarietà, Fattore Famiglia e Territorio. E’ questa, in estrema sintesi, la grande storia italiana che dovrebbe essere narrata a figli e nipoti in un’epoca avara di modelli e di punti di riferimento: quella della famiglia Cerea. Peccato che pochi possano vantare un patriarca come Vittorio, capostipite della più importante famiglia di ristoratori a strisce tricolori e imprenditore ardito al punto di portare i profumi del mare in una città dove la dittatura della triade polenta-salame-casoncelli era ferrea!
La storia del clan bergamasco è narrata nel bellissimo volume “Da Vittorio. Storie e ricette della Famiglia Cerea”, che è stato presentato a Milano nell’ambito della manifestazione “Tempo di Libri” da un entusiasta Francesco, il figlio di Vittorio che si occupa delle relazioni con l’estero, e dal cognato Paolo Rota, marito di Rossella e sous-chef nella cucina del prestigioso tristellato.
Francesco non racconta la storia di Vittorio, piuttosto tradisce qualche emozione personale quando descrive la coesione di una famiglia numerosa (cinque fratelli, oggi tutti impegnati nell’attività paterna) e la preveggenza del padre, deus ex machina dell’attività. Vittorio era un visionario, ha portato il pesce e l’alta cucina in una città chiusa e legata alle tradizioni delle sue valli. Il gusto dei bergamaschi, produttivi lavoratori, si stava tuttavia affinando all’unisono con la crescita economica della città: fu un successo straripante, che perdura a tutt’oggi, grazie alla capacità degli eredi. “Quando eravamo piccoli”, racconta Francesco, “ci piaceva andare a curiosare in cucina per gioco. Ho una foto di quando avevo dodici anni, giocavo a fare il cameriere. Il modello di papà è stato decisivo per farci amare questo lavoro. Io ho deciso di non stare in cucina semplicemente perché Enrico e Bobo sono molto più bravi di me”. Sotto la supervisione della vigile mamma Bruna il ristorante è cresciuto con gli anni, fino a trasferirsi dal centro alla faraonica struttura di Brusaporto. “Sempre nella logica della crescita, papà ha capito che eravamo in cinque, ognuno con competenze diverse che si incastravano come componenti di un puzzle, e che avevamo bisogno di esprimerci in una realtà più complessa. Così siamo arrivati dove ci trovate oggi”. Cioè, in uno dei templi della ristorazione italiana, dove qualità, accoglienza e amore per il territorio non hanno rivali.
Per suggellare il legame con la terra d’origine, il sous-chef Paolo Rota ha cucinato per l’uditorio un risotto con un formaggio erborinato locale, l”l’Ol Sciur”, finito con una riduzione di Moscato di Scanzo, spinacino valligiano e chips di topinambur per conferire croccantezza. Una preparazione di carattere, in linea con la determinazione della famiglia. E’ un messaggio forte: i Cerea si sono affermati grazie a sontuose preparazioni ittiche di mare, ma non temono rivali nemmeno con i prodotti umili delle loro valli. Da questo connubio, il loro successo.
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