di Raffaele Mosca
Torno da Felice al Testaccio a distanza di un anno e, purtroppo, non trovo la conferma che cercavo dopo l’entusiasmante esperienza di cui abbiamo dato conto. Qualcosa è cambiato con il ritorno ai ritmi pre-pandemia… e non in positivo!
Delude questa volta la famosa cacio e pepe, mantecata frettolosamente e decisamente in eccesso di pepe. Leggermente meglio la carbonara, immersa in una crema di giusta consistenza, ma con lo spaghetto che si spezza troppo facilmente al momento dell’arrotolamento. Senza infamia e senza lode il tortino di melanzane; valido il tiramisù al bicchiere, magra – si fa per dire! – consolazione a conclusione di una cena che lascia un bel po’ di amaro in bocca.
Impossibile, in definitiva, non notare un arretramento rispetto all’esperienza dell’anno scorso. Serata storta?! Carenza di personale che rende difficile garantire i soliti standard di una tavola sicuramente turistica, ma che, fino a questo momento, riusciva ad offrire una qualità più che discreta?
Non lo sappiamo, ma di certo il segnale non è confortante, e ci mette in guardia sul rischio che il ritrovato fermento turistico, unito alle problematiche che tutti conosciamo, azzeri una parte dei progressi fatti dalla ristorazione romana in questi ultimi anni.
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