di Fabrizio Scarpato
Piatto dell’anno per la Guida dell’Espresso. Annie Féolde, Italo Bassi e Riccardo Monco
Menu degustazione in un sol piatto: riso, brodo, piccione, cacao. Sgranato, intenso, selvatico, croccante. Se non fosse che si mette in moto la fantasia. Motore di un viaggio tra i colori della Toscana che avvolgono persino il riso, sporcandolo di terra di Siena, di caccia, di cavalli e Maremma, di sudore e fango, di pici e di cioccolato della valle a due passi da Firenze. Tanto da chiederti se il chilometro zero è una misura dello spazio, o lo spazio stesso che si annulla nel buco nero dei profumi e dei colori di una regione. Poi c’è un goccio di storia nella somiglianza con un classico risotto, quello col fondo bruno di vitello di Nino Bergese: solo che lì si ragionava per concentrazione, qui invece l’intensità si somma, s’avviluppa in un gioco morbido e avvolgente, qualcosa che somiglia al velluto, però a coste. E alla fine c’è quel sottile, malato senso interpretativo che batte sull’erotismo: niente di grave rispetto a chi si ostina a parlare di cibo calzando cappello, passamontagna, guanti e occhiali, tutti neri. Facile immaginare un risotto come questo in una casa in cima al viale di cipressi, il camino acceso, l’odore di selvaggina, gli afrori delle spezie: non si fa fatica a lasciarsi prendere dall’alternarsi di forza e delicatezza, di bruno e avorio, di sporco e puro. Gli stivali imbrattati di fango del guardiacaccia, l’odore di bestia e il candore di Lady Chatterley: che poi, come il riso, governa tutto, non senza l’aiuto interessato del vino nel bicchiere, che non a caso si chiama Louise, una Cuvée dalle note intimamente femminili. C’est l’amour. Forse proprio per questo un cacciatore infangato, una donna sconsolata e un gurmé fortunato non possono far altro che gridare: ancora.
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