Un bicchiere per due / Krug Vintage 1989

Pubblicato in: TERZA PAGINA di Fabrizio Scarpato

di Fabrizio Scarpato

Krippnick Scrackalbott era un grande cuoco e piaceva alle donne. Come diceva una canzone, non era bello, ma accanto a sé aveva mille donne, se semplicemente affettava una cipolla, velocissimo e preciso, persino implacabile se è vero, come è vero, che tutte alla fine piangevano. Pure lui, perché Kripp era un uomo sensibile. Amante della natura, da buon vikingo era capace di squartare un alce con le mani, ma si commuoveva di fronte a una piantina di mirtillo rosso, al candore della neve, al profumo delle erbe selvatiche dei boschi dello Jutland.

Non a caso il suo piatto più famoso si chiamava Foglie sulla neve prima e dopo la caccia, in cui radici, carote e tuberi erano immersi in una polvere grossolana di cioccolato, pane di segale e caffè, intrisa di sangue di renna e succo di barbabietola, sulla quale arieggiava un’accurata selezione di erbette fresche e croccanti, intervallate da pozzanghere di yogurt di pecora delle Svalbard: con le mani prima si coglieva l’insalatina e subito dopo si era costretti, pena la fustigazione, a ravanare nella melma sanguinolenta, dolce e amaracida, arricchita della mobile pungenza di autentici vermi, pasciuti in un rarissimo formaggio delle Lofoten. I volenterosi avventori si imbrattavano in modo inverecondo, ebbri e storditi da un’esperienza dura e umiliante, che tuttavia sembrava render tutti piuttosto contenti, per non dire felici, ad eccezione di pochi sciagurati masochisti che si decidevano per la fustigazione tout court, che ovviamente veniva loro negata con estrema perfidia. Perché Scrackalbott era anche un grandissimo figlio di puttana.

Ma le donne lo adoravano per questa sua selvatica allure, tutta nordica. Le incontrava magari casualmente in aereo, oppure al ristorante, ma anche in televisione o alla radio, spesso negli show cooking o alle feste con catering, per non parlare dei congressi di cucina o le presentazioni dei suoi innumerevoli libri, ai vernissages di una galleria d’arte come alla prima di un suo documentario, persino all’università dove insegnava, così come in ascensore o dal macellaio, o al parco mentre faceva footing, o dal fotografo per un servizio patinato. Allora lui raccontava una sua idea di piatto e tutte cascavano invariabilmente ai suoi piedi. Ultimamente aveva raccontato di un banale uovo in camicia, perché in quel momento non aveva tempo: il solo accenno alla rottura della pellicola bianca dell’albume e alla fuoriuscita del tuorlo caldo e denso in cui intingere il dito, da leccare, dopo aver piluccato una presa di caviale Lojrom da uova di codegone bianco della Baia di Botnia, determinò lo svenimento di una bella signora affetta, forse a sua insaputa, da ipercolesterolemia.

Due sole cose Krippnick non divideva con gli altri, donne o uomini che fossero: la prima era lo champagne, la seconda, per forza di cose, la sua solitudine.Va da sé che tenuto conto di tutto e tirate le somme, il vecchio Kripp beveva solo Krug. Il grande cuoco sapeva perfettamente che c’era una bella differenza tra cascare ai suoi piedi e guardarsi negli occhi, tra messinscena e sincerità. Era in quei momenti che un bicchiere di Krug gli era di grande aiuto. Se poi la notte, pulita la cucina e spente le luci, il pensiero andava a tutte le belle passanti che non era riuscito o non aveva voluto trattenere, allora si sedeva solo e soltanto davanti a un Krug Vintage ’89. Attraverso l’oro antico solcato da un lento e finissimo perlage intravedeva quella giornalista appassionata, l’unica alla quale si sentì di offrire due dita di champagne, che però lo ignorò spudoratamente; e poi il profumo di pasticceria cremosa, di frutta esotica, di miele denso che sconfinava nella caramella d’orzo e in tracce balsamiche, che gli ricordava la drogheria di madame Solskjaer, più che altro il suo décolleté, quello dell’unica donna che lui avvertiva come decisamente superiore.

Il grande Scrackalbott questa volta aveva bisogno di bere forte, di riempirsi la bocca di quel vino così ampio e dritto, fresco e assolutamente vitale, ben conoscendo, anzi coltivando l’inutilità del tutto: non riusciva a togliersi dalla mente una giovane donna incontrata sul treno, il capo sempre rivolto al finestrino, i grandi occhiali da sole e quell’impercettibile sorriso, che lui era comunque riuscito a cogliere, mentre come al solito intratteneva la donna sbagliata con l’esegesi di un improbabile ed esotico smorebrod con testicoli di gnu dalla coda bianca. Non pensava a chissà cosa: semplicemente si domandava con un’insistenza quasi delirante, che voce potesse avere quella ragazza. Se solo fosse riuscito a guardarla negli occhi.

Allora aspettò che il Krug, dopo averlo accarezzato con un familiare e confortevole profumo di mele cotte, lo abbandonasse repentino, lo ingannasse senza farsi ricordare, lasciandolo solo e smarrito lungo un precipizio amaro. Attimi in cui la solitudine diventa compagnia, titillando quella strana inclinazione di molti uomini a farsi del male con una certa perseveranza. E Krippnick Scrackalbott, almeno in questo senso, non era diverso dagli altri. Poi, dallo sprofondo della curva sinusoidale dell’ultimo sorso, emerse, a rassicurarlo come sempre, il picco di finissime note citrine, dolcemente agrumate, insistenti, sorprendenti. E lunghissime. Come una possibilità perduta, come un insostenibile rimpianto, al quale da tempo aveva fatto l’abitudine.


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