Andrea Berton e Vito Mollica. Astenersi morigerati e finti pauperisti: in questo articolo si cerca di muovere l’economia!

Pubblicato in: Eventi da raccontare
Andrea Berton e Vito Mollica si divertono prima della cena

di Leo Ciomei

Di solito non ho grande affinità con le cosiddette cene a quattro mani dove al resident-chef si affianca uno chef di altro locale della stessa categoria: le cucine sono piccole e creano problemi per lo svolgersi del lavoro delle due brigate, pur ridotte. Oppure il cuoco, sradicato dalla sua abituale postazione, non riesce a dare il meglio con le cotture e con il personale di sala. E, parlando con amici critici e giornalisti, raramente si hanno ottimi ricordi di queste reunion – “sì, qualche piatto era buono ma…” “certo che nel suo locale.. tutta un’altra storia…”

Questa volta però la curiosità di provare la cucina di Berton unita alla sicurezza dello staff del Four Seasons ha prevalso sull’indecisione: sarà sicuramente una grande serata.

Le quattro mani sono quelle di Andrea Berton, ex chef bistellato del Trussardi alla Scala e oggi titolare del suo ristorante di Milano, e quelle del lucano Vito Mollica, da qualche anno cuoco de Il Palagio, ristorante dell’hotel più charmant di Firenze, il Four Seasons.

Le cene al Four Seasons sono di solito anticipate da un aperitivo nella grandiosa lobby dell’hotel e questa volta non fa eccezione. Insieme alle bollicine di Monsieur Bruno Paillard tanto care a un amico salernitano ci viene portato una serie di appetizer uno più buono dell’altro. Purtroppo a causa dell’ingordigia degli amici fiorentini non riesco ad assaggiare quello con l’alice (buonissimo, a sentir loro) ma, in compenso, mi “faccio” parecchie palline ripiene di pomodoro (e altro) che lo chef chiama Parmigiana di melanzane e io chiamo droga perchè ne mangerei decine. Gli ospiti sono quasi tutti arrivati, pure un notissimo ristoratore locale con scarpa cardinalizia (si mormora abbia il medesimo fornitore di Papa Ratzinger…o di Vissani?) e quindi si fa l’ora per mettersi a tavola nelle sale del Palagio. Insieme a vari amici del giornalismo gastronomico e del mondo del vino sono seduto alla grande tavola rotonda al centro del ristorante e il primo piatto che arriva è dell’ospite milanese.

Brodo di prosciutto crudo, baccalà sfogliato, pane al prezzemolo, rapanelli. Un antipasto che ho apprezzato: il baccalà dissalato è tenerissimo, credo sia quello della Rafols, società spagnola che lo pesca in Islanda, la sapidità del piatto è data dal brodo di prosciutto (e nella preparazione dei brodi la maestria di Berton è notevole) e dalla bottarga sopra il pesce; simpatico il pane al prezzemolo simile a una spugna. Si parte benissimo.

Un po’ di attesa e arriva l’antipasto di Mollica: Sedano, carota e cipolla farciti con parfait di foie gras di anatra su crema di cavolfiore. L’idea è di riempire di foie-gras le tre verdure e fin qui tutto regolare.. il colpo da maestro dello chef è però quello di equilibrare il parfait di foie-gras rendendolo ancora più leggero rispetto al solito. La crema di cavolfiore con olio di nocciole che fa da base al piatto è di quelle che potresti mangiarne un pentolino da quanto è buona…

Accompagnamento a questi antipasti abbiamo bevuto un ottimo Riesling Weingut Heymann Löwenstein Schieferterrassen 2013, vini serviti dal competente sommelier Walter Meccia.

Conversando arriva il primo piatto dello chef milanese: Risotto con gambero crudo e corallo di crostacei. Dal talentuoso cuoco Berton mi sarei aspettato un risotto più al dente. Il sapore è buono, si sente il mare ma la cottura, per i nostri standard, è un paio di minuti oltre il dovuto. Un piccolo passo falso che non inficia comunque il risultato finale.

Il primo piatto dello chef-resident è invece il migliore (a pari merito) della serata: Orecchiette con broccoli, calamaretti spillo e borzillo. D’istinto capisco che questo è un grande piatto. Vi sono due prodotti che Vito sa innestare con bravura nei suoi piatti: i calamaretti spillo e i borzilli, salume che mentre mangiavamo e grazie a San Google abbiamo scoperto essere una specie di ‘nduja lucana fatta di carne di cinghiale, pasta di peperone dolce di Senise, peperoncino ed erbe aromatiche. A sentire i commensali è piaciuto parecchio a tutti.

Con i primi piatti ci è stato servito Suavia Soave Classico Monte Carbonare 2012, ottimo rapporto q/p, io però preferisco il precedente.

Deliziosa risposta di Berton col suo secondo piatto: Ombrina, crema di olive, capperi con puntarelle e pistacchio. Ottimo. Questa è la migliore portata dell’ospite. Difficile trovare un difetto, i componenti si fondono bene, veramente un gran piatto, nella sua semplicità in fondo.

Ultima portata prima dei dessert il capretto arrostito, crema di latte di capra e fave, non semplicissimo da cucinare per i tagli non omogenei, stavolta molto buono grazie soprattutto alla crema di latte, avrei solo preferito una cottura un poco più lunga.

Vino rosso per la carne e piuttosto insolito: Zorah-Karasi Areni Noir 2012, vino armeno prodotto da vigne a 1200 mt. di altitudine e distribuito, come tutti i vini della serata, da Cuzziol di Treviso.

Come pre-dessert “milanese” ci viene portato sandwich di latte con crema di sesamo nero e kumquat, brodo di cioccolato, che nonostante il lungo nome consiste in due fini sfoglie con crema all’interno e un bicchierino di brodo di cioccolato dimenticabile (opinione solo mia perchè ho visto che l’hanno bevuto tutti senza problemi).

Poi di fronte al magnifico dessert dell’ottimo Domenico Di Clemente, executive pastry-chef del Palagio, ho capito la presenza di un solo dolce: non ci poteva essere concorrenza. Il Budino al cioccolato con gelato al torrone di Canelin era una spanna superiore a qualsiasi proposta. Un’esplosione di gusto: dopo la rottura del lucido guscio di cioccolato trovi ancora morbido cioccolato e poi ancora liquido, con un’alternanza di sapori, quasi fosse una Matrioska o, come ha scritto un autorevole giornalista, un uovo Fabergè da mangiare. Chapeau. Un dolce di quelli che non si assaggiano spesso.

Con i dessert è arrivato in tavola un Banyul: Domaine de La Rectorie Banyuls Leon Parcé mis tardive 2011, degno accompagnamento al godurioso dolce.

Finale con caffè e piccola pasticceria, ça va sans dire, perfetta.

Bella serata, ottima cucina e piacevole compagnia composta da persone con cui poter condividere opinioni e notizie senza dover imbracciare il fucile. Un merito va all’ambiente dell’hotel fiorentino, che pur nella sua sontuosità mette a proprio agio chiunque. Imperdibile nelle domeniche di primavera il brunch domenicale nelle sale del ristorante e negli immensi giardini dell’hotel: un’esperienza da fare almeno una volta.


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