Napoli. Cantina San Teodoro, la cucina da cuntàri di Mimmo Alba

Vico Satriano, 12
Tel. 081.18990558
www.cantinasanteodoro.it
Aperto dal martedì al sabato acena
A pranzo solo il sabato
Chiuso domenica e lunedì
Menù degustazione 60 euro

di Tommaso Esposito

Palazzo San Teodoro sta lì da qualche secolo.
Apparteneva a un ramo della famiglia Caracciolo.
Da Vico Striano, il primo dei tanti che menano su dalla Riviera di Chiaia, si accede alla cantina così come doveva essere nel 1700.
Ora c’è il posto di Mimmo Alba.
Luci soffuse e ceramiche illuminanti ogni tavolo.
Trenta coperti più o meno.

Siciliano di Caltagirone, napoletano per appassionato amore, prima danzatore e poi cuoco.
Il nonno fu pasticciere, tra i più noti di Trinacria.
A Parigi da ventenne farà la gavetta, ma impara tante cose.
Le tecniche di cucina, ad esempio.
Un po’ girovago e quindi curioso, attento, sollecito a cogliere spunti e idee del territorio esplorato.
Eppure tenacemente radicato nella sua terra d’origine.
Identitario, insomma.
Lo si capisce subito leggendo tra le righe del menu.
Appunti, accenni oltre i nomi del piatto
La caponatina del monzù, ad esempio.
Caponatina.
Monsù.
Soltanto chi sa ne intende le storie d’emblée .
Le intuisci e aspetti che si esprimano.
Nel piatto?
Non solo.
Saranno narrate nei dettagli dallo chef .
Così, d’un tratto, te lo ti ritrovi accanto.
Irrompe dai fornelli che intravedi oltre lo specchio.
Quattro passi di danza e sta lì a cuntàri.
Con la parola, lo sguardo, le mani.

E il sipario si alza.
La scena sarà il susseguirsi di piatti belli, costruiti talvolta con rigore filologico, talvolta con slanci innovativi.
Senza sale.
Sapidità e mineralità stanno nell’essenza materica, vegetali, pesci carni che siano.
Oppure negli abbinamenti con cacio, nero di seppia, colatura di alici.
Proviamo.

Zucca spugnata.
C’è l’oliva, il timo, l’origano tra le gocce di olio agrumato.
E c’è quell’aglio solitario cosiddetto sbianchito.
Sette passaggi in acque bollenti con aceto.
Per levare la camicia e renderlo mandorla.

Pomodoro destrutturato.
Qui tutto è finzione.
E’ ciò che appare: pomodoro ricomposto.
Con agar agar.
Dà più gusto la ricotta salata che accompagna.

Alice a beccafico.
A Napoli non amano le sardine. Qualche credenza noir lo scoraggia.
Dunque alice sia.
Perfetta, con quei profumi intensi di pecorino e un po’ in sahor per la cipolla candita in aceto addolcito.

Pesce spada arancia e finocchietto selvatico.
Naturaliter.
E’ quello che ci dona il pescato.
Uno spicchio d’arancia e qualche goccia d’olio e gli odori.

Tagliolini con aringa affumicata, bacche di ginepro e tarocco.
Capelli d’angelo, eppure tenaci per i trenta tuorli che li rassodano.
Un tripudio di profumi e sapori.
Freschi per il succo di tarocco che invita, infine, all’intingolo.

Millefoglie di patate e baccalà con vellutata di cime di rapa e colatura di alici.
Un pasticcio goloso. Una sinossi siculo-campana.

La seppia con piselli, polvere di oliva, limone candito, finto caviale di seppia ,olio al mandarino.
Saltata appena e adagiata su purea di piselli che sono controtempo, ma intensi nella ruvida, per scelta imperfetta purea.

Il cannolo scomposto con canditi.
Qua tutto sta nella ricotta di pecora che giunge dalla Sicilia.
E nella crosta del cannolo fritta nella sugna come si deve, come oggi non si fa.
E nella pera candita.
In fundo dulcis.


Dai un'occhiata anche a:

Exit mobile version