Il Barolo di Michele Chiarlo

Pubblicato in: I vini del Mattino

Cerequio è una collina tappezzata di nebbiolo tra La Morra e Barolo, nel cuore della Langa vignaiola, ben esposta al sole, dove Michele Chiarlo possiede sei ettari di un impianto costruito nel 1972. Nasce qui uno dei cru più caratteristici del territorio al quale possono dedicarsi con gusto tutti coloro i quali non amano il legno in eccesso, i colori iperconcentrati, i sapori e gli odori capaci di catturare il consenso di tutti. Questo è, appunto, il Barolo Cerequio 2001 del grande produttore piemontese, ben radicato in tutte le zone vitivinicole capaci di fare ricco un territorio di emigrazione e di austera povertà negli anni d’oro del boom della Fiat. Ove si dimostra come la modernità sia l’agricoltura di qualità anziché il taylorismo industriale, non fosse altro perché una 500 la si può costruire in Brasile, il Barolo nasce solo qui. È questa la prima volta in cui il re dei vini italiani fa passerella nella rubrica, eppure ben sanno tutti gli appassionati come l’Aglianico sia definito il «Barolo del Sud», tanti, a parte la concentrazione di antociani molto diversa, i motivi della similitudine, a cominciare dall’essere un vino contadino, difficile da curare, le cui uve maturano al freddo e tra le nebbie autunnali, e, soprattutto, per la comune capacità di sfidare il tempo e le mode. Il Cerequio non strizza l’occhio alle persone «frettelle» ammaliate dalla barrique perché affina in botti grandi da 700 litri per almeno due anni prima di elevarsi ulteriormente in bottiglia per almeno 18 mesi: si iscrive di ufficio così al cosiddetto partito dei conservatori, coloro i quali rifiutano l’uso invasivo del legno perché stravolge eccessivamente la frutta. Il 2001, in particolare, si conferma buona annata anche al Nord, il naso è abbastanza intenso e persistente, in bocca l’ingresso è equilibrato, il vino rivela subito un poderoso scheletro costituito dalla freschezza tipica dei rossi capaci di evolvere bene nel corso degli anni, almeno per un’altra decina prevediamo. È questa acidità il segreto dell’eleganza del Cerequio 2001: lo abbiniamo ai pecorini stagionati lucani, al Laticauda, ai caciocavalli podolici, al capretto cucinato nel forno in stile sardo, aglio e mirto. Una lezione di stile, insomma, a quanti piallano il territorio sulle papille senza rispettarne le caratteristiche. Chiudiamo il 2006 con il proposito di cercare la verità del territorio e delle sue genti nel bicchiere, ci ritroveremo per questo a Montpellier il 14 e il 15 aprile insieme a tutti i vignerons europei, quelli autentici, in grado di respingere trucioli australiani e legni americani, gusti omologati e giudizi taroccati.


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