Il pranzo della domenica unisce l’Italia per la candidatura della cucina italiana a patrimonio dell’UNESCO

Pubblicato in: Eventi da raccontare

Domenica 21 settembre 2025: MASAF, MiC e ANCI accendono il Paese. A Napoli, a Villa Doria d’Angri, Alessandro Borghese e Gigi D’Alessio danno voce ai sapori e alla tradizione.

Il Pranzo della Domenica degli Italiani

di Tonia Credendino e Francesca Pace

C’è una data che ha raccolto l’Italia intorno a un’unica tavola: 21 settembre 2025. In quel giorno piazze e borghi si sono trasformati in cucine a cielo aperto, le città hanno cambiato volto diventando un’unica grande casa, le ambasciate all’estero si sono fatte piccoli salotti italiani lontano da casa. È nato così Il pranzo della domenica – Italiani a tavola, un rito collettivo promosso da MASAF, Ministero della Cultura e ANCI, raccontato in diretta da Domenica In. Non una passerella di piatti, ma un gesto semplice e universale: sedersi insieme, condividere la lentezza, trasformare il cibo in memoria, comunità e futuro. Un gesto che oggi diventa anche messaggio al mondo, perché da qui prende forza la candidatura della cucina italiana a Patrimonio Immateriale dell’Umanità UNESCO.

Il pranzo della domenica in Italia non è mai stato soltanto un pasto. È un tempo sospeso che interrompe la corsa dei giorni e restituisce un ritmo antico. È il profumo del sugo che comincia a borbottare al mattino presto, le sedie aggiunte all’ultimo minuto, la tovaglia “buona” stesa solo per la festa. È la voce dei nonni che raccontano storie, i bambini che rubano una polpetta, gli amici che arrivano senza invito ma trovano posto. È un rito che cura i legami, che tramanda saperi, che trasforma pane e vino in linguaggi condivisi. È lì che l’Italia si riconosce: nella semplicità di un gesto che diventa racconto e che ora chiede al mondo di essere riconosciuto come patrimonio.

In questo scenario corale, Napoli ha regalato l’immagine più potente. A Villa Doria d’Angri, gioiello neoclassico incastonato su Via Petrarca, la tavola si è distesa tra mare e Vesuvio, con le terrazze sospese come balconi sulla bellezza. Non uno sfondo, ma un teatro che sembrava respirare con la città. Qui la domenica è diventata spettacolo e vita insieme: Alessandro Borghese ha portato la sua energia contagiosa, parlando del ragù come di un parente che detta i tempi della casa e della pasta come di un ponte che unisce generazioni. Ogni parola ha restituito alla cucina la sua essenza: un sentimento autentico che diventa rito collettivo.

Accanto a lui, Gigi D’Alessio ha messo la musica e l’ironia. Tra un sorriso e un ricordo, ha inventato al volo il titolo di una canzone che sembrava già melodia: “Non dirgli mai che siamo stati a tavola per un giorno intero”. Una battuta che ha fatto ridere e commuovere, perché conteneva la verità più semplice: a Napoli la domenica non finisce mai, comincia col caffè del mattino e si chiude solo quando arriva il dolce della sera, tra piatti che si rincorrono come strofe e brindisi che si accendono come ritornelli.

Intorno a quella tavola, le voci delle istituzioni hanno trovato posto non sopra un palco, ma tra i piatti e i calici. Alfonso Pecoraro Scanio, ex Ministro dell’Agricoltura e presidente della Fondazione UniVerde, ha ricordato che il cibo è gioia e identità, ma anche tutela e responsabilità verso il futuro. Teresa Armato, Assessore al Turismo e alle Attività Produttive del Comune di Napoli, ha descritto la cucina come il cuore pulsante della città, un motore capace di tenere insieme economia, cultura e accoglienza. Non discorsi formali, ma parole che sembravano nascere dalla stessa tavola, intrecciandosi ai sapori e ai sorrisi.

E mentre Napoli mostrava la sua anima, lo stesso accadeva altrove. Matera, Pisa, Lecce, Alba, Genova, L’Aquila, Palermo, Torino, Verona, Roma: ogni città ha offerto la sua interpretazione del rito, trasformando piazze e cortili in un’unica scenografia nazionale. Persino le ambasciate di Londra, Parigi e New York hanno allungato tavole, dimostrando che la cucina italiana non appartiene a un confine ma a una comunità diffusa nel mondo. Da Roma, al Tempio di Venere, la Premier Giorgia Meloni ha evocato i pranzi della sua infanzia; tra i volti popolari, Carlo Conti ha aggiunto leggerezza e gioia, trasformando l’evento in festa.

La regia ha fatto il resto. Mara Venier, dallo studio Fabrizio Frizzi, ha guidato la diretta di Domenica In come un grande pranzo collettivo, tenendo insieme città, borghi e famiglie come fossero intorno alla stessa tavola. Le telecamere RAI hanno amplificato l’emozione, ma è stata l’organizzazione a Napoli a rendere tutto vero: non un set televisivo, ma un pranzo reale, servito con attenzione familiare e cura autentica.

E la tavola napoletana, quel giorno, è stata manifesto e simbolo: ziti spezzati al ragù con salsiccia, cotica, braciola e tracchiulelle, i friarielli, le polpette, la parmigiana di melanzane, i crocchè, il vino nella brocca con la percoca. E, a chiudere, l’immancabile babà, dolce che ha messo il sigillo a un’ultima domenica d’estate colma di curiosità e gioia.

“Il cibo è un pilastro della nostra identità e un potente collante sociale”, aveva detto il sindaco Gaetano Manfredi. Guardando quella scena, non servivano altre prove. Se l’UNESCO riconoscerà la cucina italiana come patrimonio dell’umanità, sarà anche grazie a questo giorno. Ma il vero patrimonio resta qui: nella lentezza del sugo che sobbolle, nella voce che si alza a tavola, nella musica che accompagna un piatto di pasta condiviso. È la nostra eredità più semplice e più preziosa: quella che nessuna istituzione inventa, perché ci appartiene da sempre.

E mentre l’Italia si è riconosciuta in un pranzo che unisce e consola, il pensiero corre inevitabile a chi oggi vive la fame, la guerra, l’assenza di pace. Penso a Gaza, penso a tutti i luoghi dove la tavola non può essere imbandita e la domenica non ha il sapore della festa. L’augurio è che questo rito che ci appartiene, questa gioia semplice del condividere pane, vino e parole, possa un giorno appartenere a tutti. Perché il vero patrimonio dell’umanità non è soltanto la cucina italiana, ma la possibilità di sedersi insieme, in pace.

 


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