
Nelle cucine, dietro i banconi, in sala, tra i calici o shaker in mano: c’è una nuova generazione che si fa spazio, senza fare rumore, ma lasciando il segno. Sono giovani sotto i 35 anni che, con spirito autentico e determinazione quotidiana, stanno riscrivendo le regole dell’ospitalità: cuochi, sommelier, bartender, camerieri, maître, pasticceri. Gente che ha scelto un mestiere fatto di sacrificio, arte e presenza.
“Il Turno di Domani” è il nostro viaggio tra questi volti. Una rubrica che mette a fuoco il presente di chi, con competenza e cuore, sta già preparando il servizio del futuro.
Cuochi, sommelier, bartender, camerieri, padroni di casa del futuro. Quelli che, senza aspettare il proprio momento, lo stanno già servendo.
I cuochi under 35 e la cucina moderna
di Francesco Costantino
Abbiamo incontrato Anna Paola Capasso, giovane cuoca salernitana dal tocco autentico e raffinato, che oggi guida la cucina di uno dei locali più dinamici del centro città: Cantina Verace, progetto enogastronomico firmato Gianluca Collina, figura storica della movida e dell’accoglienza salernitana.
Come ti presenti in poche parole?
Mi chiamo Anna Paola Capasso, classe 1997, nata a Salerno e cresciuta orgogliosamente a Salerno. La mia passione più grande è il buon cibo ed il buon vino, non solo come semplici piaceri della tavola, ma come veri e propri racconti intrecciati tra sapori e profumi.
Ogni piatto racchiude una storia. Il cibo per me è poesia da assaporare.
Quando e come è nata la tua passione per la cucina?
Ho avuto la fortuna di crescere in un ambiente familiare dove la tradizione culinaria locale ha sempre avuto un ruolo centrale. Fin da piccola ho trascorso molto tempo al mercato, osservando i miei nonni e, successivamente, i miei genitori, impegnati nella vendita di frutta e verdura. Ricordo con particolare affetto mia nonna, mentre trasformava i prodotti freschi in conserve che avremmo gustato tutto l’anno. È lì che è nato tutto.
Quali sono state le tappe (e le scelte) più importanti della tua formazione?
La mia formazione inizia all’istituto alberghiero, dove ho mosso i primi passi nella cucina professionale. Poi è arrivata Valencia: uno stage in un hotel 5 stelle si è trasformato in tre anni di crescita incredibile. Ho avuto l’opportunità di confrontarmi con un contesto diverso, apprendere tecniche avanzate e aprirmi a nuove culture gastronomiche.
C’è stato un incontro o un’esperienza che ha segnato un punto di svolta?
Sì, proprio a Valencia. Dovevo restare quattro mesi, ma a 19 anni ho ricevuto una proposta di lavoro. Lo chef ha intuito il mio potenziale e mi ha dato fiducia. È stato lì che ho capito davvero chi volevo diventare. Quell’esperienza ha cambiato tutto.
Che significato ha per te il talento in questo settore? Conta di più la tecnica, la creatività, o qualcos’altro?
Il talento è importante, ma non basta. Conta la tecnica, conta la creatività, ma soprattutto conta la ricerca continua. Nel nostro settore, chi smette di cercare si ferma.
Troppo spesso oggi si sottovaluta il valore della formazione costante.
Come definiresti il tuo approccio o filosofia professionale in poche parole?
Il mio approccio si basa su tre elementi: passione, ricerca e rispetto della materia prima.
Credo in una cucina che valorizzi la stagionalità, che racconti le tradizioni, ma che sia sempre aperta all’innovazione consapevole.
Quali sono le sfide più stimolanti che affronti nel quotidiano?
Trovare il giusto equilibrio tra innovazione e tradizione è la sfida più bella. Poi c’è la gestione della squadra, la pressione del servizio, lo stress: bisogna restare lucidi, motivati e precisi, sempre. E, soprattutto, essere capaci di ispirare il team.
Dove ti vedi tra 5 anni? C’è un sogno o un progetto che stai coltivando?
Ho un sogno, sì, ma non lo svelo oggi. Posso solo dire che ogni giorno lo costruisco, passo dopo passo, incontro dopo incontro. Credo nel potere delle azioni concrete. E credo che l’impegno e la passione, prima o poi, portino sempre lontano.
Secondo te, in che direzione sta andando il mondo della ristorazione?
C’è un eccesso di attenzione all’estetica, a volte a discapito del gusto. La priorità dovrebbe restare l’esperienza del cliente, il sapore, la coerenza con la materia prima.
Dobbiamo ricordarci che cucinare è un atto d’amore, non solo di stile.
Raccontaci un aneddoto curioso o significativo del tuo percorso.
Durante i primi anni in cucina, ero così concentrata sulla perfezione dei piatti che, un giorno, preparando un risotto, dimenticai il sale.
Il commensale lo assaggiò e disse: “Un risotto audace, che lascia spazio alla purezza degli ingredienti.” Da quel giorno ho capito che anche l’errore può insegnarti qualcosa.
Hai un ingrediente che senti particolarmente tuo? Perché?
Sì, il basilico. Il suo profumo mi riporta alle estati con la mia famiglia, ai pranzi semplici e felici. Usarlo nelle mie ricette significa portare con me un pezzo della mia storia.
Qual è stato il miglior consiglio ricevuto, e da chi?
“Non temere di sbagliare, ogni errore è un’opportunità di crescita.” Me lo ha detto mio nonno. È una frase che mi accompagna in ogni servizio.
Hai dei rituali, delle manie o dei piccoli gesti che ti accompagnano nel lavoro?
Assolutamente sì. Prima del servizio, preparo tutto con cura maniacale: postazione ordinata, coltelli affilati, ingredienti al posto giusto. Poi respiro profondamente, e tocco il manico del mio coltello preferito. È il mio gesto scaramantico.
Se non facessi questo mestiere, chi saresti oggi?
Probabilmente avrei seguito le orme dei miei genitori, nel commercio ortofrutticolo. Ma credo che, in fondo, sarei sempre finita in mezzo al cibo. È il mio destino.
Se potessi lasciare un messaggio ai giovani che vogliono intraprendere questo cammino, cosa diresti?
Cuochi, siate curiosi. Ogni sfida e ogni errore sono occasioni preziose. Circondatevi di persone che vi ispirano, imparate da tutti. Il talento è utile, ma sono la passione e la dedizione a fare la differenza.
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