
di Cristina Mosca
«All’inizio del Duemila, quando Ilario Vinciguerra ha aperto il suo ristorante a Gallarate, ci è piovuta addosso una quantità tale di cartoline di segnalazione che non abbiamo creduto fossero spontanee». Clara Barra, collaboratrice del Gambero Rosso, nel presentare l’intervento dello chef napoletano a “Le strade della mozzarella” a Paestum ha spiegato con queste parole perché lo hanno inserito in guida solo dopo un po’ di tempo, e con il minimo del punteggio, 76. Oggi Ilario Vinciguerra è un Due Forchette e ha un ristorante dieci volte più grande, in cui propone piatti «che le persone sanno che possono mangiare solo da me» ed esercita la sua filosofia di “sottrazione” del burro (che è bandito dalla sua cucina) e degli ingredienti (che non sono più di quattro a piatto).
Creatività e colori tutti meridionali sono spiccati dai racconti di Ilario, su come decora il purè con cioccolato bianco, su come trasforma lo zucchero filato in antipasto e una ciliegia in un fagotto di sorprese (“gusto mentale”, lo chiama lui, perché la ciliegia è farcita con fois gras ma chi la mangia, pur sapendolo benissimo, non può fare a meno di cercare il nocciolo). Poi è passato orgoglioso all’annuncio del piatto “Sud”, che lui propone in piena Pianura Padana: i tortelli serviti con acqua di provola, fatti cioè con pasta piemontese (quella a 32 rossi d’uovo, per intenderci), farciti con pomodoro (il risultato di due essiccazioni di semi di pomodoro, arachide e caviale o bottarga di muggine) e decorati con un cristallo di foglia di basilico fritto. Il cameriere deve aspettare che la foglia di basilico venga mangiata, per versare nel piatto con i tortelli il brodo caldo di provola.
Il secondo piatto che ha fatto assaggiare presso il ristorante Le Trabe è stato un concetto i caprese, ossia pomodori San Marzano iniettati di spuma di mozzarella di bufala e serviti con una salsa di basilico centrifugato unito a ricotta di bufala, alici e cappero siciliano.
Ilario Vinciguerra ha lavorato molto all’estero e oggi dichiara di aver imparato dalla Francia l’importanza dell’organizzazione in cucina: «Nella mia brigata non ci sono gerarchie perché tutti devono saper fare tutto, però riusciamo ad applicare l’insegnamento che organizzarsi bene in cucina vuol dire fare l’80% del lavoro. I miei ragazzi non possono andare via, la sera, se non hanno compilato la lista delle cose da fare il giorno dopo. Da questo punto di vista, sono un… napoletano svizzero».
(Foto di Daniele Di Vittorio)
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