
di Marco Contursi
E’ un periodo non facile per le guide, l’ultima notizia riguarda una “guida” ai ristoranti di Forbes è stata multata dall’Antitrust per 150mila euro perché era un elenco di locali che avevano pagato per stare in quella classifica.
Ma facciamo un passo indietro.
Le guide ci sono da tempo, al giorno d’oggi sono oggetto di critiche, facciamo un po’ di chiarezza.
Se togliamo quella fatta nel 1500 dal medico Ortensio Lando, la prima guida italiana nell’accezione moderna è quella del Touring all’inizio del ‘900, poi nel 1956 la Michelin italiana e via le altre.
Con Mario Soldati, Veronelli, e poi Raspelli, Cremona e altri, si fanno avanti figure che uniscono il racconto, proprio di un giornalista, alla critica dura e pura, che è ambito del “critico”, in questo caso gastronomico, ma c’è anche quello musicale, teatrale ecc..
Si trattava di persone, spesso autodidatte, perché di percorsi veri e propri di formazione non ce ne erano, se escludiamo qualcosa sull’analisi sensoriale dei vini, ma erano temuti e rispettati. E anche irraggiungibili, con un’aura di solennità quando aprivano bocca che era parte integrante della loro autorevolezza.
Oggi fortunatamente ci sono percorsi anche universitari o post universitari che prevedono lo studio di materie come analisi sensoriale dei salumi o dell’olio, ma, prima, ognuno dei curatori delle guide faceva un po’ come gli pareva, eppure erano tenuti in gran considerazione.
Quali le caratteristiche delle guide, sia ieri che oggi?
- Soggettività. La guida ai ristoranti è SEMPRE soggettiva e frutto di valutazioni fatte da esseri umani, seppur con delle regole a cui i vari ispettori devono attenersi. Ma sempre di una valutazione soggettiva si tratta. E nessuno può pensare di limitare questo potere decisionale, proprio perché si tratta di una manifestazione del diritto di opinione, di critica e di espressione sancito dalla Costituzione. Allo stesso tempo, non sono verità assoluta. Questi due concetti vanno capiti.
- Elenco limitato rispetto al numero di attività presenti. E’ pacifico che una guida includa un numero minimo di locali rispetto a quelli esistenti. Per motivi di spazio in primis, e poi, perché molti non rientrano nei canoni di ingresso della guida. Può ovviamente capitare che qualche locale pur meritevole non sia in guida perché sconosciuto agli ispettori ma questo è normale. Mentre è sciocco pretendere che una guida visiti coi propri ispettori tutti i locali in Italia. Non avviene in alcun paese del mondo.
Ovviamente alcune guide hanno grande credibilità, e quindi una loro valutazione può fare la fortuna o meno di un locale, perciò devono essere molto attente nei loro giudizi.
Ma c’è un MA. Il fattore Soldi.
Mettiamo le cose in chiaro, oggi la professione del giornalista è sempre più relegata ad hobby, i giornali e le riviste vendono sempre meno e assumono ormai col lumicino. Idem dicasi per le guide cartacee che vendono sempre meno copie, soppiantate dal web e da vari emuli, da tripadvisor ai blog di gastronomia.
La conseguenza è che ci sono sempre meno soldi per fare le verifiche nei ristoranti, con la conseguenza che i locali “in forse” non vengono rivisitati, che alcune verifiche si fanno per telefono (solitamente quelli storici nella guida e su cui non sono arrivate segnalazioni negative) e che soprattutto servono sponsor per poter andare avanti con la pubblicazione.
Soprattutto, non ci sono soldi per formare gli ispettori, secondo le nuove esigenze di una critica moderna. Un esempio? L’olio extravergine di oliva, un tempo poco usato nei ristoranti e oggi alla base di una cucina che vuol dirsi moderna e di qualità, a me sembra che quasi nessuno che scrive di ristoranti è in grado di riconoscere l’uso di oli scadenti.
Le guide oggi si reggono grazie agli sponsor, non alle vendite delle guide stesse. Quello degli sponsor è un capitolo spinoso. Innanzitutto si tratta sempre di prodotti inerenti la ristorazione e quindi Acque minerali, attrezzature da cucina, o aziende di prodotti gastronomici. Chi mette soldi, poi può avere voce in capitolo nelle scelte, anche in modo indiretto. Cioè, io ispettore della guida se trovo che un locale usa i prodotti dello sponsor, anche in modo involontario ne sono influenzato nella scelta. Da sempre, ad esempio, si diceva che se usavi certe acque minerali o vini francesi entravi nelle grazie di una guida famosa.
E come si fa? Le guide possono essere pubblicate solo grazie agli sponsor ma gli sponsor possono influenzare il giudizio delle guide. In modo più o meno diretto.
Poi c’è un altro capitolo spinoso. Giornalisti e ispettori di guide (non sempre sono giornalisti) che hanno rapporti di lavoro coi ristoratori, siano essi addetti stampa o altro. Visto che non esistono, tranne che nella Michelin, ispettori che lo fanno di professione, capita che molti per vivere facciano altro, la cosa più ovvia, trattandosi spesso di giornalisti è fare l’addetto stampa, ma potrebbe trattarsi anche dell’avvocato o del commercialista di un certo ristorante, o anche del suo piastrellista.
C’è un conflitto di interessi? Certo, come c’è se uno fa la guida e il consulente, o la guida e l’avvocato, o la guida e un’altra cosa, in potenziale conflitto di interessi.
Ma, c’è un MA grosso quanto una casa. Ma se fare il giornalista non dà di che campare, è normale che uno faccia anche altro. E’ facile dire che è sbagliato, quando si ha la fortuna di fare il giornalista a tempo pieno e con la sicurezza di un contratto a tempo indeterminato, magari stipulato 20 anni fa. Purtroppo se con i tempi odierni una professione ben pagata in passato, quella del giornalista, non è più tale, come si deve fare???
Io credo che la differenza la faccia sempre l’onestà intellettuale. Vedete non c’è bisogno di pensare che uno premi un ristorante perché ha avuto un compenso in denaro, lo posso fare anche per amicizia o semplicemente perché tizio mi sta simpatico. Ma se sono una persona onesta intellettualmente evito di segnalarlo in una guida o tramite un articolo se non merita. L’importante è però sempre dirlo se prendo soldi per segnalarlo, perché lo prevede la legge, perché si chiama pubblicità.
La guida di Forbes non l’ha detto ed è stata giustamente sanzionata, ma quante altre guide non lo dicono? Questo vale per quelle sia a carattere nazionale che territoriale, a volte fatte neanche da giornalisti, che omettono i nomi di locali che hanno pagato per esserci con la conseguenza ad esempio che alcuni, ampiamente riconosciuti come ottimi, non trovano posto a favore di altri meno meritevoli. Insomma Forbes potrebbe essere la punta dell’iceberg
La differenza la fa sempre l’onestà individuale, perché so anche di un curatore di una guida famosa e con regolare contratto, che aveva rapporti con una famosissima azienda di prosciutti, non proprio limpidi…l’aviditàspesso fa infrangere più di una regola deontologica.
Il risultato però di questo movimento anti-guide è anche peggio, e cioè che pincopalli qualsiasi si ergano a difensori della verità, proclamando l’anarchia completa. E quindi il mediocre di turno, inizia a professare che non sta in guida perché c’è un complotto e non perché lui cucina peggio di un cane.
Diceva Freud: “Le masse non hanno mai conosciuto la sete della verità.”
Quindi la soluzione non può essere eliminiamo tutte le guide, anche perché pensare che la signora X ne capisca di cibo, sia di materie prime che di tecniche di cucina, solo perché prepara da mangiare per marito e figli tutti i giorni, è pura presunzione.
Ma si potrebbe iniziare a :
- Pretendere chiarezza quando si segnalano locali dietro pagamento (tra l’altro è previsto dalla legge sulla stampa)
- Conoscere i criteri di giudizio di una guida
- Professionalizzare gli ispettori con una formazione mirata.
- Avere curatori, sia nazionali che regionali, professionisti della materia e non persone che non hanno all’attivo neanche 1 corso di analisi sensoriale.
- Possibilmente avere sponsor non del mondo food (perché ad esempio non aziende di vestiti o di scarpe? Moda e cibo vanno a braccetto).
- Capire che il fatto che un locale non stia in guida non vuol dire necessariamente che non meriti, e che oggi grazie ad un uso sensato dei social puoi far conoscere ugualmente la tua attività con una comunicazione mirata e affidata a professionisti, non a ragazzetti urlanti.
- Capire che chi manda targhe a casa, dietro il pagamento di un contributo, è un lestofante e che questa targa vale come un rotolo di carta igienica, pure se dice che tu sei una “eccellenza” nel tuo settore. E vantarsi di premi o articoli comprati fa di te un idiota. Semplice.
p.s. di blogger ed influencer neanche parlo. Da giornalista, iscritto all’albo, nonché docente di un Master Universitario di Comunicazione dell’Enogastronomia, parlo solo di professionisti, non di chi si sbrodola in video girati col cellulare, urlando che è tutto ottimo. Pure se sono in 10mila a vedere quel video. Non sono i numeri delle visualizzazioni che fanno un professionista, come non sono gli ubriaconi i massimi esperti di vino…
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