di Antonella Petitti
Basta guardare Eduardo, una delle poche vere memorie storiche del paese, per capire come una piccola civiltà contadina si sia trasformata sotto le spinte economiche e generazionali. Eduardo guarda la telecamera di un canale satellitare e, dopo aver raccontato come si uccideva un maiale in base alle norme di un rito non più legale – eccolo salutare quegli affetti che ricorda in cuor suo, ma che sono emigrati all’estero da troppo tempo. Li invita a ricordarsi di Puglianello e a partecipare alla festa del maiale.
Sono passati sette anni da quando il Centro Studi Puglianello, sotto la presidenza di Filippo Guarnieri, ha dato vita a questo appuntamento. Da allora 150 persone – dei quasi 1300 abitanti – si impegnano per la sua organizzazione. La sensazione che siano un migliaio di persone in un’unica grande casa, si concretizza nello stand in cui nella domenica conclusiva della manifestazione si va a pranzo dopo la messa.
Camminano insieme sindaco ed ex, minoranza e maggioranza, in fondo – come in una scena finale di Don Camillo e Peppone – l’importante è il bene della comunità. E in effetti il clima di festa c’è, guarnito dalla voglia di scuotere la calma piatta dei piccoli centri di provincia situati nell’entroterra. Un posto dove il terremoto ha fatto i suoi danni soprattutto con la “ricostruzione”, ma dove comunque si sono conservate accoglienza, entusiasmo e voglia di fare. Certo è che se il Castello fosse rimesso a nuovo e aperto ai cittadini, sarebbe una bella vittoria per tutti e un aiuto all’economia del turismo. “Ma il momento è difficile”, spiega il primo cittadino, Tonino Bartone. “Stiamo tentando di sviluppare una zona industriale, ma la vocazione è agricola e gli allevatori che sono una fetta importante per la nostra economia, vivono più che mai la crisi”.
Ma i puglianellesi non si perdono d’animo, mentre gli uomini passeggiano, le donne lavorano in cucina e l’odore si avverte in tutto il centro. Primi con tracchie e cotiche, classiche orecchiette con salsiccia e broccoli, ma anche soffritto e minestra maritata: una tavola ricca – insomma – quella della 7^ edizione d’A Fest’ du Puorc che ridisegna bene i tratti del festeggiamento che, dopo l’uccisione del maiale – prolungava un rito antico di socializzazione.
Immancabili le tipiche “struppl”, ovvero delle frittelle rustiche ottenute con uova, vino bianco, olio extravergine di oliva e il “criscito”. Ma come sottolinea l’anziana massaia che le ha realizzate…”il segreto sta nella frittura, ma a volte so’ venute male pure a mè”!
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