
di Talia Mottola
Un’umile famiglia di contadini riunita intorno al tavolo di sera. Una debole luce proviene dalla lanterna appesa al soffitto. Illumina i loro volti e il cibo sul tavolo di legno. Fisionomie rocciose, quasi deformi.
Risaltano le nocche di mani nodose che descrivono il peso delle loro fatiche. L ’espressione stanca e priva di speranza è dipinta sui loro volti. La loro cena è a base di patate, l’unico frutto che riescono a ricavare dalla loro terra.
E’ la descrizione del dipinto di Van Gogh, “I mangiatori di patate”, dove il pittore in una lettera indirizzata al fratello Theo chiarì il significato dell’opera: la sua intenzione era quella di mettere in evidenza il duro lavoro dei contadini. La terra che faticosamente coltivavano produceva i poveri frutti, le patate con i quali si cibavano ogni giorno.
Qui a Castelcivita, sui monti Alburni chi coltiva patate sembra rievocare la stessa immagine quando incomincia a raccontare di come nonni e genitori lavoravano le terre in montagna per ricavarne frutti da destinare agli animali da allevamento- ovini e suini- ma anche allafamiglia. La patata di Castelcivita è patata di montagna. E’ a più di 900 metri infatti che avviene la sua coltivazione, il motivo è da ricercare nella tipologia del terreno: la chiamano “terra puglia”, una tipologia di terreno non stagnante che impedisce asfissia radicale idealeper la coltivazione del tubero.
“Le patate si sono sempre coltivate in montagna a Castelcivita. Sono figlio di allevatori, e ricordo che la mia famiglia insieme alla pastorizia aveva già terreni destinati alla coltivazione. Le patate in parte si davano ai maiali, poi al gregge, e infine alla famiglia”, Paolo Vincenzo è un giovane coltivatore di patate che ha deciso di continuare una storia già incominciata tanti anni
fa. Lui come gli altri coltivatori di patate- se ne contano circa una ventina a Castelcivita- la montagna l’hanno vissuta da sempre.
La Biancone è la varietà autoctona di patata castelcivitese, nota anche come patata di fossa per la sua caratteristica conservazione, un metodo tradizionale che consisteva nel seppellire le patate sotto terra -spesso coperte da felci- per preservarle durante la stagione invernale.
Questo metodo, ancora in uso da qualche produttore, manterrebbe intatte le proprietà organolettiche del tubero fino a primavera. Non solo Biancone, tra le varietà più coltivate oggi negli altipiani di Castelcivita troviamo l’ Agria, la Picasso, la Draga che a differenza dell’autoctona Biancone presentano pasta e buccia gialla, maggiormente resistenti e quindi versatili in cucina, e che in questo terreno trovano il loro habitat ideale.
Il periodo di coltivazione, a circa mille metri di altitudine, è maggio-giugno. Quello che ti si presenta nel viaggio che porta in montagna verso i campi di patate sono i terreni di colore rosso da un lato, e un cielo azzurro che si confonde con il mare in lontananza dall’altro. In entrambi i casi, quella bellezza di colori ti toglierà il fiato. Una coltura che poco risente dei cambiamenti climatici, ma che tanto può subire da una fauna selvatica spesso fuori controllo che diventa problematica anche per un’agricoltura ad alta quota. Paolo e gli altri coltivatori però resistono, e trasmettono una passione autentica per un prodotto che diventa identità gastronomica di un vasto territorio sovrastato dai monti Alburni, massiccio montuoso carsico nel Parco Nazionale del Cilento, in Campania, con profonde valli e un’ampia biodiversità.
Le patate fritte con patate di montagna a Castelcivita è il piatto che si trova nella ristorazione castelcivitese, non c’è posto che non te la proponga come entrèe, figurarsi come contorno. Qui la pasta e patate poi diventa “Pasta e patate pesola”che rispetto a quella napoletana ne richiama soltanto la consistenza densa e cremosa, di differente c’è che è senza provola, condita invece con il sugo di pomodoro.
Richiama la cucina contadina un altro piatto che esalta il sapore della patata di montagna, nelle case dei castelcivitesi viene “sfricinata”, schiacciata in olio caldo insaporito con aglio, e accompagnata con il peperone crusco. Ma è nella patata cotta sotto la cenere che ritroviamo un’impronta chiara della precedente economia di questi luoghi: allevatori e “gravunari” mangiavano le patate cucinate sotto la cenere ricavato dai fuochi accesi durante le notti passate tra i faggi della montagna di Castelcivita, condita con sale, olio e prezzemolo è
da mangiare obbligatoriamente con la buccia.
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