La ricetta cult. Apologia del babbà fatto in casa o della cucina antistress

Pubblicato in: I dolci

di Gaspare Pellecchia

Vi parlerò oggi di una cosa seria di cui ultimamente mi sono innamorato (a parte alcuni Greco di Tufo 2009): la ricetta del Babbà. “Il Babbà è una cosa seria, cu ‘o Babbà nun se pazzea [non si scherza]”, cantava la Laurito. Stupefacente leggerezza,  delicata fragranza, soffice spugnosità, arrendevole compostezza, appagante umidità… potrei continuare all’infinito i descrittori di un Babbà ben fatto, un dolce della memoria che oggi è sempre più apprezzato.

Per fare un Babbà a casa propria occorre innanzi tutto un briciolo di temerarietà, poi un po’ di tempo, un pizzico di pazienza, un forno, uno stampo (quello comune da ciambella andrà benissimo), un contenitore capiente, oltre ovviamente tutti gli ingredienti. La mia ricetta (dotata d’un cinico sincretismo che mette insieme Auguste Escoffier, Adriano Continisio e Antonio Cafiero) (del resto le ricette di cucina non hanno diritti d’autore!!) vi assicuro verrà benissimo e col tempo la migliorerete pure.

Si parte con tre cucchiai di farina di forza (o di Manitoba, o per pizza) mescolati alla buona con un po’ d’acqua di rubinetto e un cucchiaino di lievito di birra (fresco, secco, liofilizzato, o anche di crìscito, comme vulìte vuje): questo composto lo si copre con una busta di plastica (o un canovaccio umido) e lo si lascia raddoppiare di volume.

Il composto di prima, una volta lievitato, lo si trasferisce in un contenitore capiente e si aggiunge (a occhio, non vi preoccupate mai) 250 grammi di farina, cucchiaio dopo cucchiaio, lavorando (sbattere, tirare, capovolgere, stringere, ecc. ok?) il composto con una mano tenendo il contenitore con l’altra mano che, piuttosto pulita, vi servirà per aggiungere gli altri pochi ingredienti e, soprattutto, per asciugarvi il sudore.

Iniziamo con un paio di uova (d’estate fresche di frigo andranno meglio): con la mano pulita le prendete, le rompete e le fate cadere dentro il contenitore, integrandole con l’altra mano nel composto che, così, tenderà a diventare più liquido, perciò voi continuate a lavorare (sbattere, tirare, capovolgere, stringere, ecc. ecc.).

Afferriamo ora dal frigo un po’ di burro (grandezza tra una palla da golf ed una da tennis) strizziamolo nella mano e buttiamolo dentro il contenitore, integrandolo col composto. Continuando a lavorare (sbattere, tirare, capovolgere, stringere, ecc. ok?) aggiungiamo un terzo uovo, due cucchiaioni di zucchero e un pizzico di sale fino (una punta di un cucchiaino).

La massa dovrà (cioè dovrete riuscire a lavorarla fino a farla) sembrare come una “crema ammassata”, cioè dovrà fondamentalmente staccarsi dalle pareti del contenitore per effetto dell’essersi formata una rete interna, invisibile ad occhio nudo, dovuta proprio alla forza della farina. Questo fenomeno si chiama “incordatura”.

Bene, il più è fatto; non ci resta che coprire questo composto con una busta di plastica (o un canovaccio umido) e lasciarlo raddoppiare di volume. Nel frattempo guardatevi questi due link

l’incordatura della pasta da pane:

http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/01/28/la-forza-della-farina/.

E già che ci siete imburrate pure  abbbondantisssimamente, accuratamente ma abbbondantisssimamente, lo stampo (quello comune da ciambella andrà benissimo) e mettetelo in frigo.

Bene, la scena che vi si presenterà (dopo un paio d’ore) sarà che il vostro composto si è trasformato in una massa leggerissima, profumatissima (per effetto dei saccaromiceti) e gonfissimissima: aiutandovi con una mano versate il tutto nello stampo imburrato cacciato dal frigo e posizionatelo nel forno, piuttosto in basso, e lasciate lievitare (lo so, è la terza lievitazione, però bestemmiare è peccato e se siete arrivati fin qui vale la pena di continuare, perlomeno a lèggere) fino a che non si raggiunga l’orlo dello stampo Oppure il raddoppio di volume.

Bene, nun tuccàte niente e lasciando l’impasto nel forno freddo, accendete direttamente a 160° – 170°, possibilmente senza ventola, e cuocete 40-45 minuti; è un mio trucchetto partire a freddo, strano ma funzionale.

Nel frattempo preparate la bagna. Semplice semplice, mettete cinque bicchieroni d’acqua di rubinetto in una pentola pulita, con un 200 grammi (a occhio, non vi preoccupate mai, chi si preoccupa è perduto) di zucchero e la scorza (le zeste) gialla di un limone (ma va bene qualsiasi agrume, magari bio), oltre una puntina-ina-ina di un cucchiaino-ino-ino di cannella (stecca o polvere); il tutto sul fuoco moderato a sobbollire, mentre il Babbà cuoce in forno (accussì v’o guardate pure..). Filtrate? Sì, filtrate la bagna, se vi pare.

Non aprite quella porta (del forno) se non quando si è formata una bella cupola color ambra: a questo punto infilate un coltello nella vostra creaturina, coltello che dovrà uscire pulito pulito. E’ cuotto? Allora sforNate e tentate di sforMare. Con colpi, battiti, imprecazioni, piccoli allucchi e vari cazzotti sul tavolo il Babbà dovrebbe sforMarsi, cioè uscire dallo stampo. Verificate che sia tutto cotto, anche all’interno, raschiando eventuali parti troppo scure. Adesso ll’avite capovolgere e bagnà! Piano piano, girando girando, con l’ausilio di un coppino pulito, bagnate il Babbà caldo con la bagna tiepida fino a che premendolo non ne fuoriesca la bagna stessa. Aspettate che si raffreddi.

E’ pronto! E’ il vostro! E se cercate un antistress.. ammuccateve ‘stu Babbà!

P.S. Adesso attendo critiche o lodi. Grazie.
P.P.S. A me il rum non piace, ma se a voi piace (parliamo di rum rum, e non di strani intrugli in commercio) potete aggiungerlo nella bagna, all’ultimo momento, ovviamente.


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