di Angelo Peretti
C’è stato un tempo in cui i carrettieri si fermavano al Cristo, per rifocillarsi e far riposare i cavalli, e ci si è fermato anche Mario Soldati coi suoi cineoperatori quando girava l’indagine sulle valli del Po nei primi anni della televisione. Oggi la trattoria con l’edicola votiva del Cristo è chiusa, ma i campi lì intorno hanno preso il suo stesso nome. Terra buona, fertile, là dove la Secchia e il Panaro fanno una gobba che li avvicina. Non serve neanche irrigare. Fossimo in Francia, quella porzione di campagna modenese la chiameremmo gran cru. Siamo in Italia, non abbiamo mai classificato sul serio le vigne migliori, e per di più non abbiamo ancora voluto metterci in testa l’idea che il Lambrusco, e permettetemi, soprattutto il Lambrusco ben poco colorato, fatto con le uve del Sorbara, è un vino di quelli che ti ci dovresti spellare le mani dagli applausi.
A far rinsavire anche i più scettici ci pensano le bottiglie di Alberto Paltrinieri e della moglie Barbara, che hanno casa e vigne proprio lì al Cristo, frazione di Sorbara del comune di Bomporto, provincia di Modena, Emilia.
Il primo che prese a piantar vigne fu nonno Achille, chimico e farmacista, nel 1926, e poi il figlio Gianfranco s’è allargato negli anni del boom economico. A ciascuno dei figli lasciò quattro biolche di terra. Ora gli ettari di Alberto e Barbara sono quindici, tutti al Cristo, appunto. Il vigneto non è un corpo unico, ma poco ci manca, ché fra i due punti più lontani ci sarà sì o no un chilometro. Il più vicino è a una manciata di metri dalla soglia di casa.
Le uve sono quelle del lambrusco di Sorbara, più qualcosa di salamino, che fa da impollinatore.
Che cosa caratterizza il lambrusco di Sorbara? Poco colore – e il vino ne viene fuori rosato, mica rosso – e spiccata acidità. Niente sdolcinature, aggiungo. I Sorbara son vini seri, secchi. Con le bolle, ovvio.
Alberto e Barbara il Sorbara lo adorano. Ci fanno ben cinque vini, usandolo in purezza. Due sono spumanti, e uno dei due è un metodo classico (e sono entrambi notevolissimi, seppur assai diversi l’un l’altro). Tre sono frizzanti. Poi, ci sono altre due versioni di Lambrusco in casa Paltrinieri, e sono un Sorbara “classico” col salamino e un Emilia, l’unico rosso nella coloritura. In tutto fanno sette interpretazioni lambruschiste, e qui di seguito cerco di raccontarle tutt’e sette in poche righe.
Lambrusco di Modena Grosso metodo classico 2013 Paltrinieri
Trenta mesi sui lieviti. Colore bellissimo, buccia di cipolla. Asprigno, citrino. Ribes, marasca, mandarino, kumquat. Bolla finissima. Si strabeve. Gran vino. Chapeau.
(93/100)
Lambrusco di Sorbara Riserva Brut Lariserva 2014 Paltrinieri
Il rosa è splendido e poi – wow! – che naso. Spezia finissima e fruttini. Ha il frutto croccantino e polposetto, però anche una bella traccia agrumata. Lunghissimo.
(88/100)
Lambrusco di Sorbara Leclisse 2015 Paltrinieri
Charmat di tre mesi abbondanti. Fiori di pesco brillante nella tonalità. E poi che beva! Fruttino, fruttino, fruttino che non finisce più. Golosissimo.
(92/100)
Lambrusco di Sorbara Sant’Agata 2015 Paltrinieri
Un frizzante secco. Il più scuretto – rosa corallo – fra i Sorbara in purezza. Caramellina al lampone. Da mettere su piatti ruspanti.
(78/100)
Lambrusco di Sorbara Radice 2015 Paltrinieri
Che colore! Un rosa perlaceo spettacolare. Si beve con gli occhi. Però soddisfa e tanto anche all’assaggio. Il frutto è masticabile. Fa la presa di spuma in bottiglia.
(91/100)
Lambrusco di Sorbara Piria 2015 Paltrinieri
Un classico blend di Sorbara e salamino. Rosa fior di pesco nella tinta. La ciliegia e mela tendono all’asprigno. Poi il succo dei lamponi. E fiori.
(80/100)
Lambrusco dell’Emilia Solco 2015 Paltrinieri
Un cambio di registro netto. L’unico Lambrusco rosso. O meglio, tra rosso, violaceo e nero. Poi, fruttini, arancia, pepe. Morbidezza. Va giù un calice dopo l’altro.
(88/100)
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