Le bollicine campane da vitigno autoctono, prima guida ragionata

Pubblicato in: Bollicine

di Antonella Amodio

È qui la festa? Le bollicine campane che piacciono tutto l’anno. Un trend in fermento che fa sempre festa.
Gli spumanti non si bevono più solo a Natale e Capodanno, quando il consumo di questa tipologia di vini li vede comunque protagonisti indiscussi delle feste, sia per aperitivo che a tutto pasto. Negli anni hanno conquistato una fetta rilevante nel consumo generale, con una crescita esponenziale. Un’accelerata del settore “bollicine” che ha interessato anche quelli ottenuti con uve autoctone regionali, accendendo un interesse che travalica la bollicina stessa e aiuta a far conoscere i vitigni autoctoni in modo più ampio ai palati giovani, così come agli appassionati più maturi, con una impressionante divergenza tra profili di età.
Lo spumante è trasversale e trova più occasioni per essere bevuto, assumendo toni meno celebrativi e conservatori, pur custodendo l’allure di eccellenza e di status. Metodo classico, charmat, ancestrale o rifermentato in bottiglia, la scelta e ampia, così come le uve impiegate. La versatilità di alcuni vitigni regionali campani ha reso possibile la produzione di spumanti anche là dove si pensava impossibile. In Campania dalla fine dell’Ottocento alla metà degli anni trenta, le uve Greco a Tufo venivano vendute in grandi quantità (vinificate, dunque già vino) alla Francia, la cui viticoltura era stata distrutta dalla fillossera, e là impiegate poi per la spumantistica. Da qui, nel 1926, nacque l’idea di Cantine di Marzo di produrre il primo spumante Metodo Classico campano da uve greco di Tufo. Iniziativa avvalorata anche dalla tesi di Elio Gramignani, docente della Cattedra Ambulante dell’Agricoltura alla Scuola Enologica di Avellino, il quale sosteneva che le uve greco provenienti da Tufo erano indicate per essere racchiuse in bottiglia sotto forma di metodo classico.
L’Asprinio d’Aversa è l’altro vitigno storico del ricco parterre ampelografico campano, legato alla famiglia degli Angiolini, che precettarono il cantiniere di corte Luois Pierrefeu per identificare nei terreni vulcanici dell’aversano un vitigno dalla spiccata acidità, che fosse adatto alla creazione di uno spumante, come valida alternativa alle rinomate bollicine francesi. Ed è così che nasce lo Spumante Asprinio d’Aversa, il padre degli spumanti regionali, legato al sistema di coltivazione ad alberate, unico nel suo genere e candidato al riconoscimento di Patrimonio Naturale e Culturale dell’Unesco. Oggi sono diverse le cantine che lo producono, sia nella versione metodo classico che in quella metodo charmat (il primo prevede una doppia fermentazione, una nel fermentino e l’altra attivata con l’aggiunta di zuccheri e lieviti che producono anidride carbonica direttamente nelle bottiglie; il secondo la rifermentazione in autoclave a tenuta stagna e lavorazioni più rapide).
Tra le storiche aziende che hanno rilanciato l’Aspirino d’Aversa c’è la cantina I Borboni, che produce bollicine da viti centenarie con il sistema di allevamento Alberata Aversana.
In Irpinia il Fiano di Avellino regala sorsi “eterni” per via della caratteristica acidità, che reca longevità al vino, il quale si presta con eleganza anche ad essere spumantizzato con ottimi risultati. Tra i precursori c’è Ciro Picariello con il Brut Contadino, ottenuto da metodo classico.
La Falanghina, il principe dei vitigni a bacca bianca, trova casa in quasi tutti gli areali della regione, con risultati eccelsi nella versione bollicine. Tra i territori del Sannio, Roccamonfina e i Campi Flegrei la scelta è ampia e il filo conduttore è il dinamismo, insieme con le varie sfaccettature che si percepiscono nei profumi e nel perlage.
Continuando con le uve bianche, ci si sposta sul Vesuvio con il biotipo caprettone, spumantizzato per prima da Casa Setaro, in un’espressione di metodo classico territoriale e complessa che regala sorsi indelebili.
Uniche sono anche le aziende che producono spumante da pallagrello bianco (Masseria Piccirillo) e da coda di pecora (Il Verro), uve biotipo di Terre del Volturno. In Costiera Amalfitana la biancazita e la biancatenera trovano matrimonio nell’etichetta Alta Costa Tenuta San Francesco, mentre ad Ischia la biancolella e la forestera sono utilizzate per Ischia Bianco Spumante dall’azienda Tommasone.
L’agostinella, biotipo di uva locale sannita, è alla base delle Nove Lune (Metodo Classico) della Masseria A’ Cancellera.
Per l’aglianico, il vitigno dei grandi vini del Sud Italia, diverse sono le cantine che si dedicano alla produzione di spumanti rosè (anche vinificate in bianco). I risultati sono eccellenti, come il Mata di Villa Matilde, che rimane 48 mesi sui lieviti, e quello prodotto nel Cilento, tra le montagne di Trentinara, dalla cantina Tredaniele.
Raro, per adesso, nel suo genere è il piedirosso dei Campi Flegrei delle Cantine Averno, prodotto con il metodo classico in una manciata di bottiglie da vigne a piede franco, ma reperibile anche in diverse versioni di metodo charmat.  Per rimanere in territorio, il Campi Flegrei Falanghina Spumante Astro Brut Cantine Astroni, da uve falanghina Metodo Charmat, dalle note floreale e al gusto fresco e particolarmente salino, e per chi ama il rosato c’è Astro rosè brut ottenuto da piedirosso (e un piccolo saldo di aglianico). Restando in tema rosè, Gioì di San Salvatore 1988, che esalta la struttura dell’aglianico attraverso il metodo classico. Tra gli charmat, anche Sarno 1860 Spumante Pas Doè Millesimato Tenute Sarno, fiano in purezza, con un corredo aromatico di agrumi, menta e nocciola. Sempre dall’Irpinia, dalla varietà greco, il Metodo Classico, Kami di Calafè che conserva freschezza e verticalità. Segnaliamo inoltre la produzione sannita di vini di altura: Animanera Rosè extra dry di Rossovermiglio, dalla spiccata acidità, poi la Falanghina del Sannio Spumante Brut Cantina di Solopaca, dall’ottimo rapporto prezzo/qualità, piacevole al gusto, rinfrescante, dinamico e di buona armonia, e sempre rimanendo nel beneventano, l’articolato Cinquantenario Janare La Guardiense, con oltre 30 mesi sui lieviti. Dal Vesuvio, lo Sfumante prodotto con la varietà Caprettone da Contea Sylva Mala, che esalta nei profumi la nota di ginestra, il tipico fiore del vulcano campano. Da Ischia il Metodo Classico affinato sott’acqua della cantina Tommasone, ottenuto con le varietà biancolella e forestera, così sempre dall’isola verde lo Charmat 100% biancolella di Antonio Mazzella, dalle note di frutta esotica.

Ed eccoci alle novità del 2023/2024:

È entrato in commercio da pochi giorni il primo Spumante Rosato Extra Brut Metodo Classico prodotto a Sant’Agata dei Goti dalla Cantina Mustilli, un mix di aglianico e piedirosso con 24 mesi sui lieviti e reumuage a mano. Venature è l’edizione limitata del Metodo Classico Dosaggio Zero di Corte dei Roberto, una cuvèe di uve a bacca bianca e rossa di uve fiano, greco e piedirosso. Una nuova interpretazione dell’Asprinio d’Aversa per I Borboni, con Rivolta, un metodo ancestrale, lo spumante contadino dalle antiche origini. La cantina Federico De Gregorio esce con lo Spumante Metodo Classico di Capri. Il primo nella storia vitivinicola dell’isola, ottenuto con l’assemblaggio di uve biancolella, falanghina e greco sostate sui lieviti per 18 mesi. Da vecchie viti della Costiera Amalfitana, lo Spumante Pas dosè “Scalese” di Casa Esposito, un rifermentato di biancolella, falanghina, ripoli e ginestra. Dal vulcano spento di Roccamonfina, arriva sulle tavole il primo Metodo Classico “Cava Nera” di Porto di Mola, con la falanghina che si esprime in tutta la sua vulcanica sapidità e freschezza. Da Giffoni Valle Piana, 24 Lune, un bianco frizzante col fondo, con 12 mesi di affinamento in anfora, prodotto da Lunarossavini. Sempre dal Cilento, la Cantina dei Quinti con i vigneti tra la valle del Tanagro e i Monti Alburni, si presta a presentare due spumanti: Piano Grasso, rosato dosaggio zero di aglianico e Conte Orso, millesimato extra brut da falanghina. Anche il Vesuvio contribuisce alle novità con nuove etichette Metodo Classico: Volo 31 di Tenuta La Mura di uve caprettone, un millesimato con 30 mesi sui lieviti, e la Cantine Olivella, con lo spumante blend di piedirosso, catalanesca e caprettone, tagliato poi con il 30% di riserva perpetua  in anfora, per un totale di 36 mesi di affinamento. La significativa produzione di vini spumanti campani da vitigni autoctoni incontra sempre di più i favori di un pubblico che ama bere bene e non ultimo dove il rapporto fra qualità e prezzo sia in equilibrio.

Una curiosità: è recente la presentazione di una cuvèe di fiano, greco e falanghina, prodotta per celebrare gli ottocento anni dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Uno spumante, non in commercio, pensato dal Professore Luigi Moio, ordinario di enologia presso l’ateneo e Presidente dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino.


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